Ieri sera con Valéry (la sala) eravamo in tre: Elena, Mino ed io. Rafforzati dalla zuppa di legumi preparata dalla prima (presi dal verduraio, lasciati in acqua ore e ore e con aggiunta di zucca), non c'è rimasto che attendere dinanzi allo schermo. Dopo aver visto e apprezzato il suo ultimo, la scelta è caduta su un altro lavoro del regista turco Nuri Bilge Ceylan, "Uzak" (2002). Lentissimo pedinamento di uno dei tanti, strappato alla propria terra e sbalestrato in cerca, ancor prima del pane, di una ragione, uno scopo. Coefficiente di difficoltà elevato, raggiunto solo in alcuni momenti.
Parte in quarta, il nostro Ceylan (...). Dopo una decina di minuti Elena chiede se qualcuno abbia parlato (rispondiamo, con un ghigno, che si son dette un sacco di cose determinanti). Torno dal bagno e chiedo invano cosa sia successo...Si scherza eh. Nel frattempo Mino asserisce che i due siano fratelli; Elena ed io non sappiamo se credervi (a ragione, infine). Invero, la lentezza con cui l'occhio del regista si posa sui suoi protagonisti ("occhio" fisso, come ha notato giustamente Mino), è uno degli elementi migliori del film. Questi sguardi immobili, quasi impietosi, rivolti al protagonista errabondo e inutile in una Istanbul innevata, dove la mancanza di calore è garantita, questi lunghi e intensi dicevo, appartengono ad un cinema coraggioso e profondo che il Cinerofum da sempre apprezza. Ma Ceylan, a tratti, si spinge sino alla provocazione. Nonostante il regista autoironizzi sulla propria arroganza (la scena in cui l'ospite-pesce si piazza dietro al padrone di casa: quindi moltiplicando il fastidio per l'inedia, del film e del protagonista), resta il fatto che qualcosa non va. La nemesi costa ben più.
Pellicola dai singolari alti e bassi, mi riferisco alla banalità di alcune sequenze (come quella dell'incontro "soffiato") o alla bellezza di molte immagini (tra cui le ultimissime). Tirando le brutali somme, sul piano visivo è un film fatto come piace a me; mente nella sceneggiatura, pure nella sua giustificata aeriformità, sono ravvisabili più debolezze ("scritto di fretta, oppure nemmeno" suggerisce l'acuto Mino). Ma proprio in questa, più che per i colori, la fotografia e alcuni episodi puntuali (come il suddetto incontro), credo che l'elemento più ricongiungibile alla Nouvelle Vague sia nel suo incedere come l'ennesimo fuoco fatuo di segno Leone (esistenze impensabili, proprio come la nave ribaltata). Ciò nonostante, e proprio per l'ambizione riposta nella pellicola, ci accodiamo a Mino e al suo "ha sbabbiato".
(depa)
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