Errori comuni

Al cinema poca roba, rimane quel "La comune" che adocchiai qualche giorno fa. Il suo director è Thomas Vinterberg, tra i fondatori del "Dogma 95", informazione sufficiente (il suo "Festen", del 1997, ormai è naufragato nei miei ricordi) per fidarsi e recarsi serenamente al Sivori: Elena, Marigrade ed io l'abbiamo fatto...mannaggia a noi.

Via, Zentropa, si parte. Ed è bene dire subito, intendo "bene" per il sottoscritto, che le carenze di questa pellicola sono evidenti sin dalla prime sequenze. C'è un fastidioso senso di tempi non rispettati, come quando si ascolta un 33 giri con la "levetta" sui 45. Tutto si svolge in maniera frenetica, confusa, saranno gli '70 con tutti i loro stravolgimenti, ma nessuna curva, bensì un grafico a scalini che ha il sapore amaro dell'artifizio. Un film ha i suoi tempi, certamente, la difficoltà nel mantenere un andamento armonico sta proprio lì. Insomma è il lavoro di Thomas. Non solo, pur accordandosi all'antipatico ritmo, ci si ritrova frustrati per l'inutilità dello sforzo: ora sono i temi srotolato che non sottendono, proprio per nulla, quell'attenzione che chi guarda un film autoriale pretende. Che le comuni anni '70 non dovessero funzionare gran che bene "a gratis", cioè senza attori di un certo spessore disposti a rompere le regole accettate sostituendole con altre più "naturali", non c'era bisogno che Vinterberg ce lo raccontasse (così, poi...). Pellicola autobiografica, a quanto pare ("lettera d'amore alla mia infanzia"), ma che non riesce a divenire di tutti. Soprattutto a causa dello sfilacciamento che attanaglia discorsi e personaggi, buttati lì sul tavolo di cucina, senza alcun momento concesso al pubblico per affezionarsi: il rapporto della figlia col primo amore; il personaggio carismatico che entra in pompa magna per poi finire a fare l'arbitro; la stessa protagonista sbanda tra dietro e davanti le quinte; i personaggi stereotipati lo sono troppo (la coppia di sfigati o il mediorientale ipersensibile), nonostante i tentativi. Insomma, terribilis dictu, in "Kollektivet" ognuno suona per sé (no, l'effetto non era voluto, assicuro).
Rimangono "solo" lo sguardo tremante e il sorriso amaro della protagonista (l'attrice e cantante pop Trine Dyrholm, classe '72, Orso d'argento migliore attrice).
Non resta che recuperare "Festen" e altri del regista, sicuramente (?) meglio riusciti.
(depa)

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