Quando la micia non c'è, io ballo con Fassbinder. Serata di cortometraggi, da lui diretti: "Il vagabondo" e "Il piccolo caos"; in cui compare: "Il fidanzato, l'attrice e il ruffiano" (1968); e di una breve intervista all'autore bavarese: "Rainer Werner Fassbinder, 1977" (...). La sala Valéry si trova avvolta dal bianco e nero della R.W.F. Foundation ed io da lei.
-- "Il vagabondo" (1965) è un corto amaro di 11', che ha per soggetto il triste vagare di un ripudiato. Una bottiglia in qualche sala d'attesa, un cestino ed una fontana: gli ingredienti di una vuota esistenza la riempiono come possono. Finché, il caso prima (una pistola), il destino poi, quindi un'idea e un'umiliazione rimettono tutto al proprio posto, chiudendo il cerchio. Cerchio destinato a ripetersi nell'avvilente e irresistibile quotidiano. Ovvio il richiamo a Rohmer, seppur con accento e conclusione diversi.
-- Ne "Il piccolo caos", cortissimo di 9' girato nel 1966, va di scena la noia di tre ragazzi, concretizzatasi infine in un atto criminoso sì, ma almeno atto. Lo stesso regista è tra loro ed esordisce con un "Ravioli!" (in italiano nel testo) che, già di per sé, è una chicca. Wagner (e non Tchaikovsky!) a far da sfondo a questo schizzo per un gioco che sfugge di mano, ai protagonisti, non al regista che qui prende le misure col mezzo cinematografico: colle zoomate, gli stacchi e l'uso del sonoro.
-- Il terzo cortometraggio è un corto d'autore di 23', diretto nel 1968 dai francesi Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, coniugi dentro e fuori dal Cinema. Cinema, il loro, che è avanguardia purista e intellettuale, con tutti i sensi chiamati, con mezzi differenti (tra loro e dal solito) a rapporto dalla coscienza: arte come crescita e miglioramento. Di qui un corto, basato su un testo di Ferdinand Bruckner, oscuro e multiforme: lettura...aperta.
-- L'ultimo appuntamento è con R.W.F. in persona, intervistato nel 1977 da Florian Hopfe e Maximiliane Mainka (quest'ultima fece parte del collettivo per "Germania in autunno"). In questo interessante incontro le profonde parole dell'irrequieto regista sull'evoluzione avvenuta nelle motivazioni che lo spinsero e spingono a fare cinema (dall'"elaborazione delle emozioni, con coscienza critica", per giungere ad una "pura narrazione, dove però tutto il sentire" dell'autore è ben presente). Poi le interessanti considerazioni sul teatro dell'epoca. Si scorge un uomo alle prese colla paura della solitudine, proprio lui, essere solitario. Inoltre i malinconici ma sinceri cenni agli amici tra i cineasti della sua generazione ("in un modo contorto anche con Wim" Wenders). Infine i motivi storici che portarono, appunto, l'avvento di questa sua Neu generazione.
Un artista completo, un professionista rigoroso quanto creativo.
(depa)
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