Ieri pomeriggio sono
tornato agli Amici del Cinema di Via Rolando. In sala, oltre a Mino, è presente ancora una volta Yasujiro Ozu, giunto a Sampie per mostrarci il suo ultimo film. “Il gusto del saké” (1962) è una pellicola
dolce amara sul trascorrere inesorabile del. Tra volti sorridenti, mani al
bicchiere e barcollamenti, s’è ricorso ad ettolitri di alcolici per dimenticare
il tempo, la solitudine e una sconfitta bellica i cui effetti minacciano di accelerare
la disgregazione delle tradizioni nazionali.
I color pastelli di Ozu rilassano gli occhi unendosi ai suoi fidi attori dalle
maniere delicate ed espressioni pacate e agli allestimenti scenografici che
riempiono la scena di oggetti familiari, ricreando i caldi nidi tradizionali
giapponesi, graziosi balconi affollati di oggetti cari. Anche le fumanti ciminiere
bianche e rosse risultano salubri, nel cinema di Ozu. Con tutta questa pace,
pare impossibile che piccole crepe s’aprano sulla concezione di che ognuno formula.
Invece Ozu, con estrema delicatezza, ci mostra il dolore che sta dietro ad un
padre improvvisamente vecchio e solo. Un anziano professore ormai male in
arnese non è una vista penosa di per sé, ma in quanto specchio di sé, monito dei
tristi giorni che verranno. Per certi versi Ozu pare non essere un coraggioso avventuriero
della Settima (inquadrature fisse e nessun batticuore, scordatevi shock e capovolgimenti), bensì un
nostalgico un po’ pavido, un po’ deluso dalla direzione presa dalla società in
cui vive (arte). D’altro canto per fare un cinema così, lontano da ogni
spettacolarità, bisogna avere una grande visione e determinazione. Nonché
tocco. Sensibilità estetica che riesce ad infondere in ogni scena.
Amicizia e Amore, Morte e Guerra, Tradizione e Progresso, tutti temi affrontati
con calma e ironia, pacatamente…lasciando il tempo che le riflessioni fermentino, senza riso, nello spirito.
(depa)
(depa)
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