In aereo, oltre a tanti omini gialli e mostrini adunati, l'offerta cinematografica comprendeva anche "Senna", documentario del 2010 diretto dal londinese Asif Kapadia e dedicato a lui: l'Ayrton divenuto leggenda dell'automobilismo e idolo in una patria afflitta dalla miseria. Innalzatosi nell'Olimpo della F1, quindi schiantatosi laggiù, tra i tamburelli...
La storia è nota. Ma il documentario riesce comunque a coinvolgere poiché, a ben vedere, la breve vita di Senna, ha molto di epico e, quindi, cinematografico.
Cosa emerge da questa visione? Senna faccia d'angelo, ma col suo caratterino. Alain Prost occhi chiari, ma mento sinistro che genera qualche sospetto...uno stronzetto d'Oltralpe lo pare proprio. Ma questa è solo una campana. Non se le mandarono a dire, né in pista né fuori. Botta e risposta, cui nessuno dei due rinunciò. L'audacia del brasiliano con le belle donne e coi potenti della F1 va di pari passo con quella tra curve e rettilinei. Chi l'avrebbe detto?
Emerge anche l'insofferenza del campione di fronte a ciascun secondo posto. La sua necessità, tutta sudamericana, di tirare in ballo dio ad ogni piè sospinto. Inoltre, tragicamente, la presa di coscienza, tutt'altro che arcana, che qualcosa stesse andando storto nella direzione presa dagli assetti di quei bolidi scagliati a 300 Km/h, senza controllo, contro gradini ignorati e pneumatici sopravvalutati.
Il documentario evoca una fulminea vita da N°1 sino all'ultimissima sconfitta, senza troppe zollette (il suo ricordo per quel grande kartista inglese sconosciuto è una gemma nella dimensione show-biz della F1); con qualche carezza di troppo, forse, ma resistere a Senna era ed è davvero ardua. Col casco in testa o senza.
Emozionante, consigliato.
(depa)
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