L'età magica di Truffaut

Sala Uander. Io solo. Meno male che c'è il mio vecchio amico Truffaut. Il regista parigino che tante emozioni sa di regalarmi, ha deciso di venire a trovarmi al Cinerofum. Sì, come un bambino. Mi sento un dodicenne; ecco cosa può fare il cinema del maestro del regno dei bambini e dei ragazzi. Vidi per la prima volta "Gli anni in tasca", pellicola del 1976, più di quindici anni fa, per caso, innamorandomi all'istante di questo magico sguardo sul cortile dell'infanzia.

François Truffaut coi bambini ci sa fare. Innegabile, parlando del regista che esordì con il dolce duro passaggio di Antoine Doinel dall'nfanzia all'adolescenza. Questa volta, sottoforma di carosello di quadretti ricchi di poesia, il regista riesce a darci una panoramica più ampia. L'intreccio delle storie dei ragazzi, oscillanti tra aule scolastiche e ambienti familiari (felici, drammatici, normali), esplora meccanismi e riflessioni di bambini che hanno occhi per guardare e orecchie per ascoltare. Il mondo dei giovanissimi ripreso con tenerezza e naturalezza, incorniciando siparietti ricchi di fascino, indimenticabili, come quello della bambina chiusa in casa, o come il racconto di Oscar (e i contemporanei baci sullo schermo e in sala).
Penso che Truffaut abbia un occhio particolare, guidato da sommo amore per quell'età e per il suo paese. Nelle parole finali del maestro, forse, c'è molto del pensiero dell'autore. Amore per quei francesi sempre disposti ad un sorriso, nonostante tutto. Non solo Thiers, che pare un bon-bon, ma qualunque scorcio di Francia, in cui irromperà un bambino ricco di speranza, incrociandone un altro con un sacco di problemi.
Anni strepitosi, istintivi, liberi ed estremi.
(depa)

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