Ieri sera, in sala Ninna, con “La dea dell’amore” (1995) di Woody
Allen, reprise dell’ultima serata di tour de force cinerofumiano tenutosi,
sempre in sala Ninna, tra Pasquetta e mercoledì (un “bella” a Depa, gestore per
l’evento della sala, e a quelli che sono passati e si sono fatti un po’ di sano
cinema). Tornati dalla partita, le mie palpebre non ressero per più di cinque
minuti e, alla fine, non mi ero perso nulla di eccezionale...
Un Woody Allen decisamente sottotono.
Non bisogna essere dei grandi
psicologi e cultori della Settima per capire che questo film è figlio dell’amarezza
che il regista di New York deve aver provato per la separazione da Mia Farrow e
la conseguente battaglia legale, conclusasi l’anno precedente, e per il ben più
pesante processo mediatico e dell’opinione pubblica che Allen subì come
conseguenza della “scandalosa” relazione tra lui e la figlia adottiva di Mia, Soon-Yi.
Tutti gli artisti degni di questo
nome usano la propria (anche) per manifestare emozioni e Allen chiaramente in
questa pellicola è diverso, arrabbiato, disilluso, scocciato e il film manca di
conseguenza di ironia e poesia, caratteristiche prime di tutte le sue più
grandi opere.
I momenti di comicità sono rari,
ma memorabili come la scena in cui il solito divertentissimo, “nervoso” Allen
si trova a dover “discutere” con un pappone o grazie a qualche battuta delle sue
come quando alla domanda del figlio di cinque anni “Chi comanda tra te e la
mamma?”, lui risponde: “Ovvio! Io!! La mamma prende solo le decisioni!”.
La prestazione della protagonista
femminile Helena Bonham Carter, sposa per niente cadavere di “Lenny Weinrib”
Allen, è ottima come quella di Mira Sorvino, ma c’è veramente troppa voglia di
raccontare (seppur velatamente/metaforicamente) le sue recenti e burrascose
vicissitudini personali e il film ne soffre pesantemente anche a livello di attenzione
ai dettagli come, per esempio, per quel che riguarda il finale che mi è
sembrato un po’ affrettato, sbrigativo, come se all’autore gli interessasse
poco chiudere le storie dei vari personaggi.
Il coro greco, semovente dal
teatro di Taormina alle strade di New York, che commenta lo svolgimento dei
fatti e cerca invano di interferirvi, e la spregiudicatezza dei dialoghi in
materia sessuale sono due coraggiose novità ed è attraverso i monologhi dei
personaggi del coro che si leggono i più chiari riferimenti alle vicende della
vita privata di Woody. Per esempio, Cassandra che vede sempre grosse tragedie
all’orizzonte per Lenny rappresenta chiaramente i detrattori che sicuramente
Allen, per la sua enorme popolarità, avrà avuto e che avranno predetto l’imminente
fine della sua carriera a causa della sua condotta moralmente deprecabile.
Cassandra e i detrattori si
sbagliarono. L’uomo Allen magari avrà fatto scelte opinabili, ma l’artista non
si discute e fortunatamente ha continuato a deliziare gli amanti della Settima
con pellicole più meritevoli di questa che, secondo me, è stata soltanto
un “film-sfogo”.
(Ste Bubu)
Sfogo o no, sono d'accordo. Woody provato nel fisico e nell'ispirazione.
RispondiEliminaQuesto è il film che mi fece allontanare dalle successive opere del regista. Ero un babanetto, contento di poter andarmi a rifugiare nei primi film di Allen. La mia scelta si rivelò snobistica e sbagliatissima. I grandi film del newyorkese avrebbero ancora a lungo imperversato nelle sale sparse per il pianeta...