La settimana scorsa, anche Elena mi ha seguito. Sì, venerdì sera milanese e allora via, vediamo che c'è allo Spazio Oberdan. Orson Welles, 1942. Il suo secondo. Andiamo. Ed eccoli lì quei due, davanti ai titoli di testa di "L'orgoglio degli Amberson" e alla voce del regista che li introduce a quest'affascinante torbida storia di orgoglio e di morte...
Questo film, ampiamente "falciato", a quanto disse lo stesso regista (accusando i produttori), rimane strenuamente un'opera solida e potente. Il vuoto che può venirsi a creare intorno ad una persona i cui grovigli dell'orgoglio sono indistricabili è terra arida. La follia è già padrona. E questa impossibilità è resa alla perfezione da regista ed interpreti.
Il regista, partendo dal romanzo di Booth Tarkington, lo interpreta con gran forza, tracciando una drammatica disfatta per tutti, il finale peggio che una consolazione amara. Lo stile barocco del regista è soffocante, manca l'ossigeno guardando il protagonista su di un rovinoso piano inclinato. Tim Holt è una strafottente belva assatanata. La denuncia contro un'educazione lasciva è evidente, ma anche quanto possa non essere lontanamente sufficiente.
Meno creativo, ma più compatto ed angosciante di "Citizen Kane", il secondo film di Orson Welles è più che una conferma (nonostante tutto). Da non perdere anche perché Elena ha deciso di pagare il biglietto dopo la visione.
(depa)
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