Ieri sera in sala Uander, per le strade una Milano deserta, bella e silenziosa come mai, Rainer Werner Fassbinder è entrato portandosi dietro la figura Hans Epp, un signore dall'andatura un po' goffa e dallo sguardo dolce e sognante, ma con tanto amaro tra i denti: "Il mercante delle quattro stagioni", 1971.
Bellissima pellicola, a tratti malinconica a tratti rabbiosa, in cui le vicende di un fruttivendolo ambulante ci mostreranno il male di vivere che attanaglia chi, sin dai primi passi, è ingabbiato tra sbarre di desideri non autentici (la madre coi suoi assiomi incrollabili, la società che mette alle strette e, al massimo, concede di arruolarsi) e conseguenti mattoncini di rimpianto. Ma è una grande illusione, cercare quei bivi del passato in realtà è cercare alibi che ci diano motivo di stare in piedi.
Il film rimane negli occhi per lo stile sobrio ed avvolgente, figlio di Hans "Douglas Sirk" (ancora da presentare al 'Rofum ignorante), di R. Bresson (ma le calde-fredde ellissi del francese qui farcite di sentimenti che marcano i volti disperati e guidano i gesti violenti dei protagonisti), per citarne alcuni.
Senso di calma apparente sempre pronta ad esplodere, perché, in realtà, non c'è modo di intervenire sul male che ci assilla: condizioni "esterne" (guarigione, benessere, amore) ed "interne" (soddisfazione, tranquillità, felicità, mi vien da ridere) che viaggiano su piani paralleli, senza possibilità di interferenza alcuna. E' questo che, "Il mercante delle quattro stagioni", comunica con forza allo spettatore.
Quante persone non ne hanno proprio più voglia e allora, consapevolmente, con la rincorsa, decidono di ingollarne uno alla salute di ciascuno dei propri rimpianti e rimorsi, ormai conscie che non c'è ruolo nel loro copione? Che l'amore è davvero più freddo della morte?
Questo bel film di Fassbinder è dedicato a tutte loro.
(depa)
La scena dell'aggressione di Hans (nome del protagonista, dell'attore Hirschmüller, bravissimo qui assieme ad Irm Hermann, e del regista a cui Fassbinder s'ispirò in questa ed altre opere) verso la moglie è di grande impatto emotivo, così come quelle al bar; mentre non sono riuscito ad incastrare bene, nella pellicola, quella del "flashback marocchino", vero e proprio squarcio di sole negli spazi sempre delimitati da cortili, scale e mura domestiche.
RispondiEliminaFassbinder compare anche 'sta volta: è il tizio col maglione rosso, quasi sempre di schiena, che gli ricorda che non ci si può fidare di nessuno, poco prima che compaia il vecchio "caro" amico di Hans, accolto dal regista al grido di "Rainer!".
La madre del regista, invece, è la signora che fa acquisti alla bancarella di frutta e verdura permanente e che, colto il malessere di Hans, chiederà più volte alla moglie: "Qualcosa non va a suo marito?".
Prima esperienza cinematografica in sala Ninna targata Fassbinder, devo dire, molto positiva.
RispondiEliminaLa sceneggiatura di questa pellicola indaga la psicologia di un uomo turbato fin dall’infanzia a causa di una madre oppressiva e mortificante e lo fa mostrando delle dinamiche più che realistiche senza che risultino mai scontate, tenendo lo spettatore dunque sempre sulla corda. Questo grazie anche ad inquadrature mirate che spesso puntano su primi piani eloquenti, raggiunti anche attraverso zoomate ad hoc.
L’inquietudine del protagonista, il suo incontrollabile istinto alla distruzione e all’autodistruzione, portano ad un finale scontato, ma intrigante e sconvolgente per come viene proposto. Bravura del regista che è stato un piacere conoscere e che approfondirò sicuramente. Bella ‘rofum!
Ps: in un passaggio della recensione hai usato la parola “mattoncini”… Hans, in certe metamorfosi della sua persona e delle sue turbe, mi ha ricordato Pink di “The wall”… Vabbè... Lasciamo stare che la ferita è ancora aperta…