L'ultimo giro agostano nelle sale, invece, ci ha condotto all'"America" dove il nome di Hirokazu Kore'eda prometteva qualcosa di più. Mantenuto a metà, ché "L'innocenza" (2023, t.o. "Monster") alterna respiri corti ad ampi. Ma è la specie umana sullo schermo ad essere in affanno.
Miglior sceneggiatura a Cannes 2023 (Sakamoto Yuji, 1967): l'innocenza è l'idiozia spettatrice, che resta a guardare. Madre superficiale, un negozio felice, ma è in arrivo un tifone. Cattiveria, perfidia, bullismo. Si paga all'uscita...del locale. Patriarcato. Un atto d'accusa contro l'immobilismo individuale e sociale. Che poi diviene controbullismo. Persa ogni capacità comunicativa, la pellicola si fa Rashomon dei nostri tempi vacui: tra abitudine alla menzogna e offerte di soccorso a vuoto. "Attenzione alle truffe dei falsi poliziotti!". Geometrie didascaliche, a tratti forzate (chi le spara più grosse, paradossalmente, è proprio il professore che incarnerebbe la sincerità). Un treno deragliato nel fango. Un "nulla è come appare" piuttosto grezzo (comunque il nipponico riesce a drammatizzare anche il taglio di qualche ciocca...). Si gioca facile a rappresentare la distanza generazionale tra questi sensibili ragazzi e gli stupidi adulti. Si chiude pure con insegnamenti sciocchi ma affabulatori.
Buona confezione per buoni sentimenti, quelli che nemmeno la prof. Soave del Ginnasio Colombo riusciva a reggere, se mi vedeva, a tutti i costi, aguzzino del mio timido compagno di banco, "Mode". Ma questa è un'altra storia...
Da vedere, anche se avrei preferito altre traiettorie, meno basse e trafficate.
(depa)
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