Odio e passione

Spostamenti. L'ultima visione in sala Negri è stata "Ju Dou" di Zhāng Yìmóu, del 1990. Intravedere in VHS, dalla collana "Il Grande Cinema" del "Corriere della sera" (1996), il terzo lungometraggio del regista cinese, permette di calarsi meglio nella sua poetica. Scenografia vestita su misura, così che drappi sgargianti rivelino poco a poco le maleodoranti conciature sociali. Pelle in vendita, morta. Passioni vive, represse.
Quest'"Esclusiva SACIS" ci porta negli anni '20 d'una zona montuosa della Cina. Tutto remoto (nemmeno tanto). La regia in realtà è a due mani: Yang Fengliang (classe 1955), apprendista neolaureato o funzionario MinCult? Chissà. Ciò che sappiamo di questa storia è che Ju Dou è una meravigliosa schiava dalle "dolci" melodie notturne. Attrazione sessuale immediata (forever Gong Li). Che è anche vicinanza. I rossi delle lanterne propiziatrici si alternano a blu lunari e gialli laboriosi. Jinshan, zio bloccato, note di festa. Tragedia negli angusti e ombrosi dell'umanità. Dove morte chiama morte, con tutti i colori in fiamme. Un'illusione soltanto. Una vendetta interrotta, non sul più bello. Ma non si scappa alla condanna sociale di una comnuità ipocrita. E' finita nel dolore iniziale.
Elegante, intenso e tragico come i primi di Zhang Yimou.
(depa)


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