La police qui capisc

Mathieu Kassovitz ha due titoli cui viene automaticamente accostato, il primo è quella skratchata del disagio che rimane vetta irraggiunta. Il secondo, del 2006, è "I fiumi di porpora", volitivo noir (trans) alpino, dal taglio classico, tra eleganza glaciale e buffe scivolate.
Ormai conclusa la breve parabola registica del parigino, che non siede dietro la camera da 13 anni, è possibile farne una panoramica. Il suo quarto lungometraggio è un thriller rigoroso, a tratti ingenuo, ma determinato a risolvere il caso. L'intreccio di Jean-Christophe Grangé offre i giusti scarti, i dovuti orrori (eugenetica e nazi). Erano gli anni di Sette e altri seri serial killer. Spesso s'incappucciano e corrono. Anche qui. Passaggi suggestivi, non solo paesaggi. La fotografia del parigino Thierry Arbogast si vede. Kassovitz seppe ben indossare vesti svariate. Ma il suo vento tira verso la recita. Non ce dorremo troppo
(depa)

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