Scudi inversi

Dopo quattro mesi la combriccola di tre piccoli cinefili s'è ricomposta: Elena, Marigrade ed io dinanzi al "Sivori" per proseguire il percorso sudcoreano presentato dalla rassegna "K-Cinema". "Poetry", del 2010, quinta opera di Lee Chang-dong, il ministro già incontrato l'anno scorso colla sua intensa e colorata fucina d'amore, è un tipico tocco dell'estremo oriente. Delicatezza di sguardo, impersonificato dal pilastro del cinema sudcoreano Yoon Jeong-hee, classe 1944, quasi duecento film sul groppo, "rientrata" dopo sedici anni ad addossarsi, e impreziosire, questa ben tornita pellicola sulle bellezze infrante delle nostre società.

Il passo è quello della sessantenne sul limitar dell'Alzheimer, o d'un cadavere nella corrente, non resta che osservare. Attorno. Il tempo sospinge nuovi percorsi, non foss'altro per le vicende. I nomi sono più importanti dei verbi, quando non si può spaziare. La ricerca di una poesia sempre più nascosta si fa ardua, ammorbata dai dispositivi elettronici (la dolce anziana difronte ai bit neroverdi d'una diabolica informatica). Pellicola da pochi appunti, basta guardare. La spaesata nonna spia il laboratorio, vuole vedere, addentrarsi in quel rosso dolore di cui percepisce l'unica fonte emozionale. Tutt'attorno la Valle Scrivia attorno a Seul, con Incheon ben distante da Busalla.
Quasi inaspettatamente, dinanzi a tanta compita leggerezza, il punto di forza risulta essere il ritmo, calmo e battente: come ogni poesia deve? Il premio miglior sceneggiatura a Cannes, lo comprendo in questa luce. La prima cosa di cui si ha memoria. Può far vibrare muscoli atrofizzati. Significativamente, solo un momento dissonante, privo del tatto ben protetto: la nonna alle prese con la menzogna dinanzi alla madre della suicida. Difatti fuggirà, trovando le parole giuste. La sequenza finale l'avrei evitata, ma è più che veniale: orientale.
(depa)

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