Il partito delle casette

Oggi ho rivisto un film che mi aveva già colpito, molto positivamente, quando era uscito nelle sale nel 2007. “Mio fratello è figlio unico”, diretto da Daniele Luchetti, ispirato al libro di Antonio Pennacchi “Il fasciocomunista”, racconta in un modo molto armonioso e dinamico le diverse fasi della vita e le difficoltà di Accio e della famiglia Benassi, fino alla sua svolta più drammatica. La storia vive sulla particolare complessità del periodo nel quale è ambientata a cavallo tra gli anni ’60 e ’70.
Erano tempi duri per molte famiglie, dalla classe medio bassa in giù, ma anche anni nei quali si pensava fosse possibile avere di più, dunque erano anni di lotte operaie e studentesche, di rivoluzione sessuale, di prese di posizioni imponenti contro ogni guerra e forma di discriminazione, ma anche anni in cui il da troppo poco defunto fascismo riprendeva vita e coraggio in nuovi e vecchi (dis)valori. C’era tantissimo in ballo, molta confusione, tanto che era un attimo perdersi e scambiare la lotta di classe con un atto terroristico fine a se stesso o addirittura perdersi tra ideali di destra e di sinistra.

In questo quadro vive la famiglia Benassi, la cui normale quotidianità sembra spesso venire inghiottita dagli eventi sopra descritti. La scuola, il lavoro, le esigenze di base di una famiglia e persino l’amore e i rapporti interpersonali in generale erano tutti condizionati o addirittura prevaricati da una manifestazione, una riunione, un’aggressione, un pretesto, un ideale.
Gli attori protagonisti sono eccellenti nelle loro interpretazioni, guidati sicuramente al meglio dal regista che colpisce positivamente tra le altre cose per la sua capacità di scegliere sempre l’inquadratura giusta con la tecnica giusta, facendoci sentire per tutta la durata della pellicola dentro l’emozione del momento. Anche la colonna sonora è stata scelta ad hoc. Se proprio voglio trovare un difettuccio a sta pellicola, avrei scelto di far calare il nero dei titoli di coda sulla vista del mare, prima dell’ultimissima scena, ma forse era anche doveroso che la chiusa fosse dedicata al protagonista della storia.
(Ste Bubu)

1 commento:

  1. Solo per te Bubu. Ieri sera l'abbiamo visto nella Valéry. Mi sta bene questo tuo percorso nel cinema italiano odierno. Io non lo farei mai. E la visione di questo filmetto mi mantiene in questa posizione. La caratura del nostro cinema è nella simpatica Finocchiaro. In questa mediocre italianità che impregna le "nostre" pellicole. Il regista romano è il prodotto della scrittura cinematografica degli ultimi 30 anni.
    Il personaggio del fasciocomunista, ad ogni modo, secondo me è realistico. Verrebbe quasi da dire che incarnò il più diffuso uomo del mezzo, in pe (negli anni d'oro delle lotte, '60-'70, il dibattito era comunque mediamente più alto che oggi, dove se tocchi la sostanza, o sei uno scriteriato, o ti stanno già spiando). In effetti, quante fiere e sincere energie, mal costruite, saranno state sprecate in fraseologie sterili.
    Seguire i passi dell’Accio di Elio Germano regala più di un sorriso, ma nel complesso ho trovato il film, elementare, frettoloso e drammaticamente confuso negli accenti. Ben lontano dal tuo "armonioso e dinamico" e percepire.
    Non significa nulla.
    Questa divergenza, intendo. E' giusto che qualcuno mi "trascini per i capelli" (quali?) oltre i “miei” bordi. Come vedi, solo per te, mi metto a raccogliere...

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