Nella grande Sala 1 del “City”, in una quindicina per il
recente “Leone d’Argento”, scritto diretto e montato dalla regista tunisina,
classe 1977, Kawthar ibn Haniyya. “La voce di Hind Rajab” grida uno dei
tanti episodi di inumana violenza perpetrati dalle Forze di Difesa Israeliane
(IDF). Una vocina, braccata e spezzata dagli eserciti degli Dei Guerreggianti, e da coloro che li armano, che
resterà per sempre.
Gaza, 29 gennaio 2024. Milioni di spettatori hanno sentito e visto queste onde.
“Questa trasposizione cinematografica è basata su fatti reali”. Ramallah, West
Bank, chiamate di emergenza al centralino della Mezza Luna Rossa. Non c’è
formazione che ti prepari a tutto questo. Quando una voce di bambina minacciata
dai carrarmati ti blocca alla cornetta. “Non c’è tempo!”, “Presto!”.
“Sono sola”. C’è anche la burocrazia, la specializzazione, il coordinamento!
(potente il passaggio sulla famiglia che si accorda, coi padri che dialogano
per permettere ai figli di recuperare i corpi dei propri fratelli: ma qui
non ci sono padri). La gerarchia, la delega. C’è la perdita del senso
di sé che si manifesta nel rapporto con le nuove tecnologie. La fastidiosa
sensazione che la responsabilità, se non la colpa, sia dei soccorsi tardivi. Ma
ciò è la guerra, col suo stravolgimento dei significati. Orrori militareschi, Al
Tahira, compiuti anche col contributo delle nostrane Leonardo & Affini (“Il
made in Italy della morte”). “Ci sono solo morti”, “Sono morti tutti.”
“Un’alunna”, Hanood, “della classe delle Farfalle…nella scuola ‘La felicità
dell’infanzia’”, bombardata e stremata, sino al punto da odiare i colori, “Non
mi piace niente!”. “Resta con me”. E a quaranta minuti a piedi, Hanood, sta per
essere ammazzata. “Ho paura”. “Chiama qualcuno che mi venga a prendere”. “Splendida
spiaggia, soffice e piacevole”. "Morirò presto".
Attendere l’arrivo dei soccorsi in ambulanza per farla saltare in aria, ditemi
voi se è guerra o genocidio. Ma Hanood è viva. E prepara 355 proiettili.
(depa)
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