Idiodeus

E' falso! Il primo dell'anno, invero fu l'ultimo! Ammettiamo. Beata Teona Strugar Mitevska, allora, regista classe 1974 di Skopje, che ci ha permesso di dare l'addio al 2019 con una pellicola intelligente, divertente, giusta. Ambientata nella Macedonia al secolo dello sciovinismo più becero, "Dio è donna e si chiama Petrunya" assume la grinta d'una risata tesa a seppellire l'idiozia che ammorba ogni società patriarcale e teologica, pus fuoriuscente a tutte le latitudini. In tal senso il drammatico, che permane, è frantumato dalla sagace ironia delle autrici.

Che sullo schermo scorra un ottimo film, si coglie ben presto, colla meravigliosa sequenza (inquadratura) iniziale: tre cavi d'acciaio si innalzano da un blocco di cemento, obliquamente, verso destra...lentamente avanza nella neve, in senso inverso, oriente-ponente, una solenne processione. Simbolismo elegante quanto possente. Film dalla sceneggiatura quasi perfetta e interpretato egregiamente dalla protagonista, Zorica Nusheva (1984), propone dialoghi secchi che sottendono sempre riflessioni doverose. L'intelligenza della pellicola si coglie nell'acume delle sue raffinate sintesi: dopo il suddetto incipit, viene l'efficace presentazione dell'opprimente focolare domestico della protagonista. Il quasi potrebbe scaturire da due punti: verosimiglianza di una cittadina che non riesce a rintracciare una ragazza e, soprattutto, lo schizofrenico, a dir poco, atteggiamento del prete. Salto mortale e il condizionale sistema tutto: nulla di più realistico, nelle disumane società d'oggi, comunità di "invisibili" soli e nascosti, che i corpi s'incontrino senza conoscersi (Štip ha 47mila abitanti). Inoltre, se c'è una classe che poggia sullo stato confusionale (confessionale) proprio e dei propri "sudditi" (a salvaguardia dell'insalvabile), questa è proprio quella clericale, sempiternamente impegnata a sopravvivere alla Ragione.
La regista, qui al quinto lungometraggio, confeziona stupende immagini: una su tutte, Petrunya col manichino della rivincita. Cura e attenzione sono evidenti, l'equilibrio tra grottesco e melò quasi miracoloso. Non succede, poiché la grossa e tenace Petrunya si fa portatrice di più universali valori. Grassa, senza lavoro, ha studiato storia (il che inaspettatamente le darà le armi giuste per combattere), si prenderà gioco dei dementi attorno (Stato-polizia, clero). Dolce senza goccia di sciroppo la sequenza dello scambio di calore, per un vetro che non illuda, tra la protagonista ed il carceriere tardivamente rinsavito.
Bella anche l'entrata in scena dei loschi figuri, entità senza volto e aleggiante, parte ormai del paesaggio (Op Op Op!). Sciameranno impuniti, tra tabù complici e timori mentali (verbali). La menzogna della società che "plasma ragazzi, magari un po' vivaci" non funge: la realtà è che ad altri toccherà (tocca) tenere a bada questi "libidicamente aggrappati ai loro feticci" (Gadda). Ostacolati, pure!, da chi di questa società sta a guardia (armata). Le parole sputate sono assurdità accettate. Nella dilagante miopia degli estremi, l'inaccettabile diviene comprensibile.
Sguardo realisticissimo, quindi, rivolto alla finestra di ogni Nazione. Della nostra, per esempio, dove ministri baciano zozzifissi: solo giorni fa tamburi, stendardi, stole, per le strade (ieri militari che, dopo secoli di morte, fanno "La Befana del soldato" a ignari baby degenti): com'è subdola l'esistenza cui ci customizzano.
(depa)

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