Non entrate in quella sala

Poca roba nelle sale, un russo del meridione ci spinge, Elena, Mino e me, sino in cima alle "Battistine". Attraversar lo spiazzo e balzar sui Cappuccini (anche per noi, oggi) è un de-fatto che presto tronca. Il russo in questione ha 28 anni e pare saperci fare coi colori. Glielo concediamo, c'è just l'ingresso da rifare, ma basta films ché di vita ce n'è una. "La ragazza d'autunno", di Kantemir Balagov (1991), è una logorante rappresentazione di due ore e dieci sulla terra bruciata, ormai gelata fumante, che ogni guerra lascia. Desolazione d'anime perse, sullo schermo e...in sala.

I volti alla riaccensione luminosa sono esplicative (che avrà spinto un centinaio a immolarsi la domenica pomeriggio...sempre quel russo, dite?). Occhi infossati, echi di sbadigli, sgomento sulle prime parole per la compagna/o. "Non fare lo strunz, opportunist! Oggi l'opinione pubblica t'importa?!". No no, 'manco oggi. Le ho cercate, come sempre, le variopinte gemme cinefile germogliate dai bambù incodati verso l'uscita. In cerca di qualche "Ahhh che colori!", "Uhhhh...che composizioni, pareva di aver davanti un...un quadro di...comme se ciamma?".
Film di morte, di decomposizione fisica, relazionale, sociale. Sullo sfondo, una Leningrado da corridoi e camerate d'ospedale, dove ogni gesto un dramma, una scopata la tragedia più avvilente. Autocompiacente sino allo sfinimento, questo allegroleggero sulla dissoluzione d'ogni rapporto in epoca di guerre (cioè la nostra), parte almeno con una verve letteraria, anti-didascalica, che quanto meno pungola l'attenzione. Poi, il più sterile appiattimento sul canovaccio Harmony più logoro. E qui mi blocco.
Masha sbuffa per la compassata (leggi estenuante) lentezza della ""vivace"" Lya? Non posso altro che: "A chi lo dici" ("Scusa se sono felice", ma sì infatti, ouh, non ti permettere! Mo' ti tiro 'na sber...). Lutto sempiterno, funerale quotidiano ("Hanno investito una ragazza altissima!", dai su...). Finale verde velleitario. Chi scrive per professione, o simply vi si compiace (...), potrebbe scriverci per ore, su questo macigno di celluloide (psicanalizzando a tutto spiano). Come avrete capito, "Io no".
(depa)

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