Lo chiamano lavoro, ma è sfruttamento

Settimana scorsa, l'ultimo di Ken Loach, "Sorry we missed You": le alienanti condizioni di lavoro nei Trasporti e nella Logistica sono tema sempre più attuale. Ché la follia disumanizzante della merce ha prevalso e le associazioni dei lavoratori (sindacacati) le si sono inchinate. Attraverso un racconto realistico, con interpreti ben lontani dallo star system e personaggi recuperati dallo strato sociale mai dimenticato dall'autore inglese, un pugno agli aguzzini, una carezza ai prigionieri.
Forse meno incisivo del precedente lavoro, è comunque uno dei pochi sguardi, qui più lucido, là più offuscato, su ciò che la cinematografia di massa preferisce nascondere dietro ipocriti abbracci e facili (illusorie) soluzioni. Si parte con un buio parlante più che incisivo. L'insensibile voracità delle aziende, in affanno dietro a prodotti in movimento, come sempre, si ripercuote sui più deboli (sacri governi stanno a guardare).
Pellicola priva di estetismi (guizza fuori, unicum, dalla pellicola il dettaglio sulle mani di un'anziana), la sua storia scorre rapida, ché i protagonisti non hanno tempo da perdere.
Il film è ottimo per riflessioni doverose. Oltre alle armi a disposizione degli sfruttatori, vi sono anche quelle con cui li armano gli stessi sfruttati: è un obbligo morale mandare affanculo un datore di lavoro che pensa di poter tutto. E' ora di capire cosa sia il lavoro, rimuovendogli quella sacralità che tiene ancora in catene, causa tale fede, miliardi di schiavi.
Se il canovaccio, senza che ce ne fosse alcun bisogno, forse calca un po' la mano (alle ingiustizie manifeste e regolamentate c'era bisogno di sommare malati terminali?), a onor di Loach, va detto che il film ben resiste a possibili agguati demagogici. Secondo me ognuno degli anfratti sociali può essere illuminato isolatamente, senza perdere in forza, angoscia e afflizione (se non altro perché, come scapperebbe pure a me, molti additeranno il regista inglese di ideologia piatta). Ad ogni modo, Loach e Laverty (suo storico scribano), attentissimi, non sono caduti nella retorica, come nel finale perfetto, ché qualunque aggiunta avrebbe pastrocchiato.
(depa)

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