Dopo aver bazzicato le sale cinematografiche di un inverno-primavera tutto sommato fruttifero di pellicole degne, è giunto per il 'Rofum il momento di mettersi gli occhiali, prendere penna e studiare. La sala Valéry è la migliore compagna di studio della Liguria, per cui è a lei che, una decina di giorni or sono, ho consegnato "L'anno scorso a Marienbad". Secondo lungometraggio di Alain Resnais, viene citato come uno dei film più pesanti (e pensati) della storia della "Settima". Lo faccio pure io, riconoscendovi la potenza creativa, la rivoluzione espressiva e la sensibilità cinematografica dell'acclamato autore bretone, scomparso nel 2014. Leone d'oro 1961.
Niente ravioli al vapore
Qualche settimana fa nelle sale comparve un film cinese del 2018, "I figli del fiume giallo". Dalla locandina ammiccante, coi colori e sguardi alla "Pulp", mi aspettavo il classico sulla Triade, ed invece sarà una panoramica sociale rosanera sulla Cina che è. Scritta e diretta da Jia Zhangke, l'ambiziosa pellicola, non esente da scuciture, mostra il coraggio dell'autore di sondare un cinema diverso: che pur nei canoni dei film di malavita, racconti una Cina più vera.
Su e giù e ritorno
Jacques Audiard era al cinema, fino alla settimana scorsa. Il Cinerofum s'è quindi arrampicato sino alla spaziosa Sala 1 del "Sivori", memore dell'ultimo coinvolgente e scattante lavoro del regista parigino. Ha fatto bene: "I fratelli Sisters", Leone d'argento a Venezia 2018, mostra un'altra opera compatta, attenta, la cui appagante scrittura necessitava solo di due ottimi interpreti, come in questo caso. Davanti a questi schermi, si sta bene.
Road to Stereotypy
Se Elena ed io abbiamo atteso tanto un motivo c'era (oltre al boicottaggio del vorace "Corallo", che se l'è tenuto in pancia per mesi). La ragione è che da un film hollywoodiano diretto dal primo scemo più scemo che passa, per di più trionfatore agli Oscar, non ci si può aspettare che giunga nulla più che da "Green book" (2018): distillato di retorica a 99°, brucia occhi e spirito, condannandoti ad una striscia di stereotipi, che poi è la stessa offerta da qualunque mass-media. Diretto da Peter Farrelly. Amen.
Sempre deliri laggiù
Lunedì scorso mi son diretto verso un palestinese. Un film, intendo. Da quella terra martoriata giungono quasi sempre gemme estratte dal dolore o, come in questo caso, da un'ironia che possa anestetizzare, senza ottenebrare l'intelletto (anzi). "Tutti pazzi a Tel Aviv" (t.o. "Tel Aviv on fire"), diretto nel 2018 dal regista palestinese classe 1975, Sameh Zoabi, sceglie quest'ultima strada, danzandovi senza inciampi, ribadendo financo la distanza abissale che può separa gli individui dai poteri (quando non estraggono le armi, o i portafogli). Il quadro non è edificante, ma è doveroso sostarvi dinanzi un attimo in più.
Aziende Supporto Locale
Sempre la scorsa settimana, mi sono diretto verso il "City" perché ormai c'è fiducia. Per le proposte del circuito cineclub genovese e per un cinema, quello francese, spesso in grado di sondare il sociale meglio...del nostro. Fiducia tradita, poiché "Le invisibili", diretto nel 2018 dal regista francese, classe 1983, Louis-Julien Petit, mi ha irritato dall'inizio alla fine, vuoi per la recitazione approssimativa (con buona pace del non-professionismo), vuoi per una retorica assistenzialista criminale, qui come altrove spacciata per solidarietà.
NO BORDERS NO NATIONS...
Settimana scorsa, chi sa quando, ero andato a vedere un film cipriota del 2018. Un po' perché inseguo film da paesi improbabili (cinematograficamente), un po' perché il nullaosta di Marigrade rende tutto più sereno. "Torna a casa Jimi!" (t.o. "Smuggling Hendrix"), scritto e diretto da Marios Piperides, nicosiano classe 75, che ha tradotto da lettera in celluloide un suo omonimo romanzo, ha il dono delle ottime commedie, quella leggerezza che permette di sopportare lo (e riflettere sullo) sfacelo sociale che, in primissimo piano, fa da scenografia al racconto.
Memoria di lotta
Scriviamo tre lettere sul film visto ieri sera, da Elena e me, nella minuscola sala Film Club del "Sivori". La pellicola, invero assai poco celluloide, trattandosi di un misto animazione-documentario, ronzava da un po' nelle sale palpabili. E' stato un bene recuperarla perché la storia che vi si narra è una di quelle da non dimenticare. Ryszard Kapuściński (1932-2007), giornalista scrittore polacco, fu reporter nella guerra civile angolana (1975), si spinse agli estremi per la verità, gesto sempre più raro. E ne trasse un racconto vero ed efficace. Quindi ai due registi, Damian Nenow, polacco classe 83 (formatosi a Lodz) all'animazione, lo spagnolo classe 1974 Raúl de la Fuente al "reale" (ed al montaggio), il merito di aver seguito le orme del tenace e coraggioso protagonista, realizzando questa trasposizione, nel riportare alla memoria volti e fatti, esempi di lotta per ideali di giustizia e di sfruttamento senza vergogna. Non bastasse, "Ancora un giorno" (2018) è un film emozionante.
La realtà che ci circonda
Lo scorso mese, nelle sale, è transitato uno dei titoli che impreziosisce da solo una stagione. A tal proposito, è giusto scrivere che qualcosa pare muoversi, i film stranieri di buona qualità distribuiti anche da noi si susseguono. In questo caso, un film libanese di estrema intensità: "Cafarnao" (sottotitolo italiano "Caso e miracoli"), scritto e diretto nel 2018 da Nadine Labaki, attrice qui al 3° cimento registico. Col gusto neorealistico per le innocenze tradite di bambini dimenticati, un logorante percorso nel nostro infernale pianeta.
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