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Un cinefilo sincero dovrebbe recarsi al cinema ogni volta leggesse "Jafar Panahi". Parliamo del regista iraniano costretto nel proprio paese, privato di quella libertà di spostamento, intrinseca alla natura umana, che in questi anni, in cui profitto ed odio dettano legge e gridano alt!, pare proprio un'ironica invenzione, se non un lontano ricordo. Si badi: 1 Leone d'oro (2000), 1 Orso d'oro (2015) e altri riconoscimenti internazionali. Non solo per le qualità dell'autore, emerse con forza anche in quest'ultimo lungometraggio, ma per rispondere alle proprie intime ed agghiaccianti domande (per es: "come siamo arrivati a tal chiusura mentale?"), "Tre volti" è un prezioso esercizio artistico e ideologico.

Curiosamente, il film si apre col secondo suicidio "su cellulare" sul grande schermo, a distanza di pochi giorni. Forse che questo pesantissimo fardello che portiamo dentro ci stia definitivamente schiacciando, emotivamente, eticamente?
Rimosso qualsiasi dubbio che le parole nei film di Panahi non siano setacciate e soppesate, la frase "Altrimenti ci saremmo mobilitati tutti!" suona come una beffa particolarmente graffiante, da parte dell'autore. Falso. Non si mobilita proprio nessuno. Nessuno prende posizione per alcunché (che non siano mostre, concerti, cene, partite...). Siamo circondati dall'indifferenza. Basta parole vuote: diciamolo, che questa, quella del capitalismo inarrestato, è l'epoca dell'egoismo più solenne e garantito.
Sul piano visivo, con falsa disinvoltura Panahi rende semplici primi piani che non lo sono. Ed efficaci, in grado di cogliere appieno l'ottima prova della iraniana, classe 1975, Jafari Behnaz.
La magia del racconto: il clacson annunciatore; Shahrazād, Swanson del XXI° secolo, che "cantava e ballava nei film prima della rivoluzione", ora tradita dai post-rivoluzione; qualche sosta ammiccante, veniale (come la "pre-morta"), e la narrazione scivola come il burro su piastra rovente (date testicoli di toro ai vecchietti!).
Non poter entrare, uscire, valicare i confini. Poiché povero, nero, straniero o non allineato, prendo spunto dalle recenti parole, mielose ma dirette, della S. Stone: "Pensate se fossero i vostri figli a subirlo". "L'apice dell'incertezza, cercando di raggiungere i numi"; davvero, più l'uomo ci prova più sprofonda. In chiave ironica, con una sensibilità superiore Panahi resiste.
Shahrazād, il vetro della discordia ed un toro che non è più: chiusura elegante, pure troppo, ma obbligata. Ci sai fare Jafar. E lo sai fare. Il Cinerofum tifa per te: per cinema ed uomini liberi.
(depa)

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