Domenica di sole freddo, già dal mattino voglia di sala Valéry. Si potrebbe proseguire la chiacchierata con Jean-Luc Godard (dato che Elena è a far altro...). La proposta volante anonima ricade su "Je vous salue, Marie", del 1984, ed è un bene che Elena non abbia assistito a questa incavolata concezione, con Maria stronzetta e Giuseppe frustrato, che da intimissimo travaglio J-L.G. cerca di alzare ad atto universale. Troppo faticoso.
Ah, occhio che la prima mezz'ora è un lungometraggio intitolato "Il libro di Maria", di Anne-Marie Miéville (compagna del regista) che non c'entra una fava col film. Tanto per agevolare la comprensione. Prima, quindi un'infanzia di Maria, bambina precoce alle prese con la crisi coniugale dei genitori (mamma sequestrata in casa, senza autonomia: "Sono stanca, vorrei la mia vita cambiasse un po'..." - "Non ti preoccupare, non cambierebbe nulla"). "Maria ci guarda". Gli adulti mai cresciuti a crescere i piccoli. Crescere? Non resta che abbandonarsi. I bambini di mezzo ma il mezzo, ops, cinematografico non si smarrisce in sé, ma cosciente si dichiara linguaggio altro che non vuole essere schiavo (né padrone). Come la musica. E col suoi aiuto (Dott. Mahler).
Cinema philosophique. "A quei tempi"....squarcio, in Svizzera da qualche distributore di benzina. Comincia il delirio di Maria, tra basket e gravidanze isteriche e politiche; "voci (parole) dell'orrore". "Giuseppe è lei?" Fugaci lampi di Maria che paiono rapiti al momento (suo). Frustrazione, sullo sfondo TV? Dio è un vampiro. Cinema in versi, per me ostico.
(depa)
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