Eco-guerra, anzi, game

Forte rischio d'istigazione al sabotaggio. Sottile nel film, esonderà qui, proprio sul nostro amato 'Rofum? Polizia postale e digos (b!) sono già al "lavoro". Bisogna andarci cauti (o forse no?), proprio come il regista islandese Benedikt Erlingsson non fa fare alla sua protagonista, "La donna elettrica". Compenserà lui: Islanda e Ucraina (si fa perdire) ormai ampiamente distrutte, come tutto il resto del pianeta, non resta che ironizzarci un po' e sorridere per questa insegnante di canto davvero intraprendente, ma troppo oltre la legalità. Per cui da punire: poiché c'è già chi ha, tra le sue mansioni (retribuite), quella di salvaguardare il nostro habitat naturale. Prrrr! (è l'unica cosa che mi sovviene).

Anche se, siamo alle solite, dietro la combattiva individua si pone il dubbio della (s)ragione, forse dovuta ad una figlia scomparsa anzitempo. Tanto valeva mostrare come la dolce creaturina fosse morta di tumore, leucemia o qualunque altra bella malattia allestita dal nostro sfavillante progresso. Magari la generazione "kinder e belino bianco" avrebbe potuto essere interrotta. Ci scommetto invece: Pad in mano e merendina nello stomaco, ben poche speranze per genitori liofilizzati e adolescenti già ialuronici.
Detto ciò, sconsolatamente, rimane da parlare del film, che intrattiene, con una sceneggiatura piuttosto originale, magari non dipanata a meraviglia, ma il taglio leggero lo ha permesso; con una fotografia che pascola docilmente sui terreni vivi e verdi dell'isola di ghiaccio; con un tono consapevole che dalle vicende pervade i piccoli dettagli (come i corpi "accettati" nello spogliatoio). Le corse della protagonista tra squadre cinofile, elicotteri e droni mostrano la preparazione di regista e collaboratori e della stessa Halldóra Geirharðsdóttir.
Unico dubbio: i temi della presa di coscienza e dell'azione diretta sono temi fondanti, che se rappresentati a tinte pastello rischiano di passare per secondari. Vedremo.
(depa)

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