Altra americana anni '70. Un cinema tutto da scoprire. "Il re dei Giardini di Marvin", pellicola del 1972, diretta dal newyorkese Bob Rafelson, resta impressa per l'originalità della trama, per la tensione tenuta ad alto voltaggio tramite l'ottima interpretazione dei protagonisti, l'ovattata fotografia e l'ipnotica regia, capaci di restituire un'Atlantic City sospesa, abbandonata nel tempo.
Il film mischia turbolenza ed ironia, poesia e disillusione, con caleidoscopica resa. Sin dalle sequenze iniziali (dopo l'introduttivo monologo radiofonico che, già, è un velo di nylon su di un'abat-jour che frastaglia la penombra psicologica), prende il via l'affascinante gioco a carte coperte che accompagnerà lo spettatore. Girandola criptica sfavillante, accecante che, col vento oceanico che viene da oriente, riesce ad ammaliare sino allo stordimento. A tratti, gira a vuoto ma, d'altronde, lo stesso fanno gli ingenui protagonisti, nessuno escluso ("Ne facciamo parte tutti..."). A metà film qualche perplessità sul percorso intrapreso, forse troppo ardito, forse un po' sfilacciato (come i nervi dei protagonisti, peraltro), non fa che stimolare ulteriormente alla visione, sino al finale un po' frettoloso, ma logico. Anche perché seguire i due fratelli nel loro cortocircuito esistenziale (Jack Nicholson, che il New Jersey lo conosce bene, e Bruce Dern), immersi nella fotografia di Kovács (altro maestro ungherese: specialisti!), è un dolce macaron per cinefili.
"Passare il sonno sulla vita di qualcuno" è un gioco pericoloso. Se poi non tieni alla larga una donna da una pistola, cariche entrambe, non può che finir male.
Interessante, sappiatemi dire. Anche tra 1000 anni; che fretta c'è?
(depa)
"frastaglia la penombra psicologica??"
RispondiEliminaAh depa, ma vaff'...!