La settimana scorsa, dopo aver divorato l'ottima lasagna ai carciofi della nostra preziosa ospite, Pulcy Dani da Desenzano, io ed Elena abbiamo deciso, proprio per Lei, di allestire una serata cinematografica leggera e sbarazzina, ma sempre d'autore. Le alternative ci sono. Ma è su Pietro Germi che s'è fermata la ruota: "Alfredo, Alfredo", del 1972, è una commedia rosa rosetta.
Non amo le pellicole pervase dalla più classica voce fuori campo; va bene il vantaggio di avere scopi segreti ed intime turbe sempre "in chiaro", ma il rischio di un palliativo creativo è sempre dietro al fotogramma; invero è una delle armi peculiari di quest'arte ma, mettiamola così, dev'essere maneggiata con cura. Non è questo il caso. La scarsa ambizione di questa pellicola permette al regista di fare il monello, a noi di rilassare le meningi e gustare senza troppe pretese questo sandwich matrimoniale (...), in cui emergono un'Ascoli Piceno dai portici chiaroscuri che son covi di intrecci passionali all'altezza della miglior Treviso dei "Signori...", un Dustin Hoffman scatenato (ma un po' sprecato), la solita sottile bellezza di Stefania Sandrelli e la fresca spigliatezza dell'allora trentenne friulana Carla Gravina.
Film sul divorzio che, ancor più che in altri casi, dev'essere inquadrato nel periodo storico: uscito due anni dopo l'entra in vigore della legge che introduceva il divorzio, ne racconta aspetti facilmente intuibili, ne accenna altri meno diretti; se il celebre referendum che, due anni dopo, chiuse la questione (almeno sul piano legislativo...), sia stato influenzato anche soltanto per uno 000,1 punto percentuale, non c'è dato saperlo; ma quanto sia potente quest'arte, sì, lo sappiamo.
Tutti gli altri Germi prima, poi anche questo.
(depa)
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