Ieri sera ho recuperato "Locke", film che "saltò" all'ultima selezione milanese del festival di Venezia 2013, balzando però ugualmente di "bocca in" a chi lo vide in Laguna allora, di chi lo ha visto più recentemente nelle sale sparse. Opera seconda di uno sceneggiatore affermato, Steven Knight (inglese classe 1959), oltre che per la sapiente e originale concisione, mi ha colpito soprattutto sul piano visivo.
Nell'accozzaglia di pellicole che imperversa impunita, questa può essere apprezzabile per più di un motivo. D'accordo, la tragedia non è poi così dilaniante (non muore nessuno, anzi, la notte del racconto preparerà le basi per una nuova vita, un nuovo palazzo), ma sì sa, quando ci si mette di mezzo la moglie o il capo...Però la storia regge, il ritmo c'è, per nulla scontato in una pellicola interamente ambientata in un'auto e incentrata, quindi, sul suo autista. E sulle riflessioni dello stesso, esposte in maniera credibile e non banale, secondo me. Più che road, car movie. Ovviamente non sarebbe potuto durare di più. Anche per il povero Tom Hardy (altro british, '77), invero sugli scudi, coi soli doppiatori a tenerlo su, costretto, a quanto pare, ad un lavoro in realtime sicuramente arduo.
Ma è l'estetica di questo film che tiene compagnia, affascinando, con disinvoltura che colpisce, tramite colori, filtri, effetti visivi e riprese notturne autotradali, a ricostruire, nell'abitacolo l'unico mondo affrontabile, all'esterno il solo che, eterni pendolari, siamo riusciti a costruirci; incanalati da guardrail, persi tra caselli, rallentati dai lavori perennemente in progress.
Un bell'esercizio cinematografico, consigliato.
(depa)
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