Il primo weekend del mese ho avuto il piacere di trascorrere dei bei momenti a Berlino, città nella quale non ero mai stato. Tornato in quel di Zena,
per dare più forza alle sensazioni che ho provato in quei giorni
passati nella (ex) parte est della capitale tedesca, ho voluto rivedere "Le vite degli altri" (2006)
di Florian Henckel von Donnersmarck, film drammatico, vincitore del
premio Oscar come miglior film straniero, che si confronta con la storia
della DDR e indaga lo scenario culturale della Berlino Est controllata
dalle spie della Stasi.
Questa
pellicola è appunto un film di denuncia postuma di quello che erano le
condizioni di vita e della totale mancanza di libertà dalla parte ad
oriente del muro prima della caduta di esso, avvenuta il 9 novembre
1989, cioè meno di 24 anni fa.
Attraverso
questa pellicola il regista e sceneggiatore tedesco vuole chiaramente
mostrare allo spettatore che le persone vivevano in una società nella
quale mancava la libertà perchè il Partito Socialista non voleva mettere
in luce le debolezze e le falle del sistema da lui eretto, per imporlo
materialmente e psicologicamente e compiendo così, secondo me, il più
classico degli autogol. In linea di massima infatti, da quello che ho
capito e visto in questo film e percepito nella mia breve permanenza
berlinese, nessuno allora nella DDR si lamentava della propria
situazione di vita economica e sociale, della non possibilità di poter
dare libero sfogo alle proprie ambizioni professionali, ne tanto meno
della mancanza di opportunità per tutti o del malfunzionamento delle
infrastrutture o delle istituzioni, ma appunto lamentava la mancanza,
sempre giustamente più a gran voce, di questa componente essenziale per
la dignità e la felicità di ogni individuo, qual è la libertà.
"Le
vite degli altri" vive su una
sceneggiatura molto appassionante con la quantità di tensione giusta,
che non lascia nulla al caso e che mostra allo spettatore, attraverso le
vicende dei due protagonisti, lo scrittore Georg Dreyman (Sebastian
Kock) e la sua compagna, l'attrice Christa-Maria Sieland (Martina
Gedeck), come la Stasi fosse una specie di "Grande Fratello" ("1984") di
George Orwell (ci vedeva lungo lo scrittore britannico...) che
controllava,
attraverso l'innesto di microfoni negli appartamenti e telecamere
sparse per
la città, ogni movimento dei cittadini, per far cessare sul nascere ogni
piccolo segnale di malumore e di ribellione.
Il
personaggio chiave della storia è un ministro della DDR che, innamorato
della bella attrice, riesce ad avere le sue "attenzioni" con la
minaccia di non farla più recitare e in più vuole incastrare il compagno
di lei e per questo li fa mettere sotto sorveglianza. Il "cattivo"
della situazione ci stava ed è fondamentale nella trama, ma da un punto
di vista dell'analisi storica degli eventi, secondo me, la sua figura è
un po' forzata in negativo perchè fa chiaramente credere allo spettatore
che a capo delle istituzioni della DDR ci fossero delle persone "marce
dentro a priori", cosa che non mi risulta. Insomma, i "comunisti cattivi
che mangiano i bambini" vendono sempre...
Per
il resto, ho notato rapidi cambi di scena azzeccati qua e là lungo la
pellicola che fanno scendere o
salire la tensione al momento giusto, i dialoghi sono sempre molto
interessanti e mai banali e una grande interpretazione di Ulrich Muhe,
che interpreta la parte del vero protagonista di questa storia, cioè il
capitano della Stasi Gerd Wiesler "HGW XX/7" a cui viene assegnato il
compito di controllare i due artisti, completa l'opera e il film è
quindi, secondo me, di buon livello: trasmette le emozioni
che vuole il regista e ci da un quadro ben delineato di come e
perchè non funzionassero le cose allora al di là del muro con solo, come
scritto sopra, qualche punta di esagerazione "da romanzo". Il
finale
forse è un po' tirato per le lunghe, ma conduce ad una valida e giusta
conclusione della storia.
Dopo
esser stato per qualche giorno ammaliato dall'aria di storia e cultura
che si respira a Berlino, aver visto questo film ed essermi documentato
un po' meglio sulla storia della città, mi viene naturale una
riflessione finale. Chissà se il socialismo fosse stato proposto e non
imposto, senza temere l'avanzata di una (finta) democrazia capitalista
che vediamo bene in questi anni il (non) benessere, le (non) opportunità
e anche la (non) libertà che ci offre, come sarebbero andate le cose...
Riflessione un po' semplicistica, visto che la situazione ovviamente
era ben più complessa. In ballo c'era il predominio
economico-politico (e ideologico) tra Oriente e Occidente e il motivo
principale per cui nell'agosto del 1961 fu eretto il muro (per un certo
periodo accettato e ben visto da entrambe le parti!?!) era arginare la
"fuga di cervelli" dalla Germania Est verso Ovest, e qui invece siamo di
fronte ad una forte crisi di valori delle persone comuni
(i gran soldoni facevano gola già allora a discapito di una società più
equa), ma comunque sia, vista la situazione economica devastante (e
devastata) nella quale viviamo oggi e che non risparmia (quasi...) nessuna
classe sociale, riassumendo, la domanda che viene spontaneo pormi è: e
se (per assurdo) il muro fosse caduto dall'altra parte portando con se, oltre che il
socialismo, la libertà? Miao.
Consiglio assolutamente la visione di questa pellicola... e del museo della DDR in quel di Berlino.
(Ste Bubu)
Ottimo film.
RispondiEliminaQuando viene a mancare la libertà, nessuna vita è risparmiata. Le esistenze sono sterilizzate, sprecate. Che c'è di peggio? Il peso di quegli anni è reso magistralmente da questa pellicola. Anni di morte, di cultura martoriata. Dover rimanere nascosto, imprigionato nei cupi colori del sistema: sensazioni rese perfettamente dalle ottime fotografia e scenografia. Sfumature grigie che restano negli occhi.
Cinema-monito. Nessuno deve accettare di nuovo quel vivere, tirarsi indietro, peggio ancora, vendersi. L'arte, come tendenza naturale ad una ricerca di nuovi spazi, nuove sintassi, risente particolarmente dell'assenza di libertà. Per l'artista il dolore è acuto sino al suicidio.
La caduta di un muro libera l'anima, ma il corpo e la mente devono seguirla. I fatti dimostrano che gli uomini dimenticano velocemente.
Finale che sparge benzina sulle ferite già vive; il corpo è nudo e coperto di colpi. Il protagonista dovrà subire la beffa delle rivelazioni, scoprendo ciò che, in realtà, dolorosamente sapeva già.
Ricollegandomi alle tue riflessioni sull'attualità politica mi sento anche di fare i "complimenti" ad una Germania che, a poco più di un ventennio da quei tragici e disumani giorni (e qualche altro, in più, da altri ancora più bestiali), si ritrova con una facilità imbarazzante a scagliare una prima pietra dopo l'altra. Altri complimenti tra virgolette al regista di Colonia (classe '73) perché, dopo aver girato un film di questo tipo, finire a confezionare un filmaccio com "The Tourist", denota una leggerezza nell'affrontare certi temi davvero notevole. Evidentemente la strada dell'artista sarà sempre lunga e cosparsa di sirene. Di qualunque tipo. Della memoria dell'uomo leggi sopra.
Sono d'accordo con te intorno ai dialoghi; ben centellinati, mai parole al vento. Così come sul fascino dell'intreccio. Sul finale, dopo la caduta del muro, è vero, si tende al classico hollywoodiano, ma come hai detto, il risultato non è troppo stopposo.
Un'osservazione: "non ti risulta" di "marci" nella DDR? Capisco cosa intendi, la caccia alle streghe è sempre dietro all'angolo, ma non accorgersi delle brutture di una società miope, prepotente e assassina come quella realizzata dalla DDR (e tante altre), mi pare altresì errato, "a priori" appunto. Furono moltissimi coloro che tentarono la fuga per motivi economici, sociali, d'insoddisfazione. Ci vorrebbero anni per arrivare a "respirare" quell'aria, non un week end. Film emozionante proprio perché tristemente realistico.
Un pensiero a Bertolt Brecht.
E invece ti assicuro che non hai capito proprio niente!
RispondiEliminaMi sarò spiegato male io... e il bello è che lo sapevo che mi stavo muovendo su un campo minato...
Bom. Pace. Si parla di politica e non di cinema, quindi ne parleremo...
Fino all'"osservazione", gran bel commento e che condivido in pieno.
Sottoscrivo: ottimo film.