Qualche settimana fa, io ed Elena, abbiamo tappato un buchetto niente male, cara e vecchia operazione "Zucchetti", iniziata ormai quasi 3 anni fa. Il film è un Michelangelo Antonioni roboante, annata 1957: "Il grido" è una delle sue opere più apprezzate, sull'amore e sul suo venir meno, sulla sua mancanza, sul male che t'ingabbia quando il tuo non è corrisposto, è a senso unico, è monco, è un vicolo cieco, non sai proprio dove sbattere la testa.
Alida "Irma" Valli è una donna onesta, non mente né al proprio cuore né a quello di Aldo (l'americano Steve Cochran, qui nelle vesti di un bell'imbusto romagnolo, dolce e tenace, fiero e disperato, che il pubblico si porterà per sempre dentro) e proprio quando pare che si sia ad una svolta positiva nella loro storia, la sterzata in direzione opposta è violenta, feroce. Le prova tutte Aldo, arriva una sberla poi è pioggia di pattoni, Aldo non si rassegna, spegne l'inutile ragione e si mette in strada...Lui e la piccola Rosina ci condurranno in un viaggio ricco di solitudine puntellato qua e là da sirene impalpabili, per Aldo (per chiunque altro lo sarebbero, eccome).
Seguire questi due esseri sofferenti è un'esperienza cinematografica di prima qualità. Rosina è una meraviglia, i suoi occhi ci mostrano una pianura padana romagnola che è un sogno che fa male (la scena in cui lei s'inoltra tra le gambe di vecchietti un po' andati è quella che ricorderò più a lungo).
Come detto, mi piace pensare a "Il grido" come ad un film sul "non-amore", anche se in realtà la passione amorosa è presente in ciascuno dei vari personaggi, ma mai condiviso (anche il vecchietto, padre della bella prorompente benzinaia ama la propria terra, ma si troverà messo in disparte). Così come emerge in tutta la sua potenza l'amore del regista per la sua Romagna e per le donne: donne stupende, donne dolci, donne spavalde ma con una smorfia che sottende tanto, tutto. Sono fiere tutte: Alida Valli pare crudele e calcolatrice ma, a ben vedere (per esempio il finale), è colei che all'amore sacrificherebbe di più. Elvia (l'americana Betsy Blair, 1923-2009) è di una dolcezza infinita ma non perderà un cm. in dignità. Virginia (l'altoatesina "Doryan Gray" Mangini, 1928-2011) è una bomba e pare solida come una colonna ma non aspetta altro che il suo Amore si fermi per sempre, non solo per il solito pieno. Andreina (una Lynn Shaw da sogno, prostituta senza dolore) sembra aiutare a non pensare, ma nessuna donna, mai, potrà esser d'aiuto ad Aldo.
Gira a testa alta, Aldo, qualche battuta e qualche sorriso, ma il suo destino è segnato sin da quell'amara e drammatica confessione, tra gli alberi sul fiume, a lui è concessa solo una sorta di rincorsa circolare, per tornare, e buttarsi, proprio dove ci fu presentato.
E’ vero che la scena finale è di qualche tono più alta rispetto al resto del film, ma quello di Aldo è un male latente, un mal di denti costante, con cui si può convivere soltanto immersi in una falsa illusione.
Eh sì, l'amore è meglio goderselo, come un autentico e semplice vino, zero calcoli e scorte odiose:
-"Lo bevi tutto?"
--"Finché ce n'è!"
-"E quando non ce n'è più?"
--"Eh, quando non ce n'è più...viva Gesù!"
(depa)
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