Qualche settimana fa, io e mia madre abbiamo portato il Cinerofum all'Auditorium di San Fedele, proprio dietro la piazza in cui Manzoni si fa pensieroso ogni giorno di più. Il 'rofum, un po' svogliato il sabato pomeriggio, non sta più nella pelle, dopo l'ottimo "Low Tide", un altro film tutto da guardare ed elaborare: "Yema" è un film algerino che mostra come al cinema basti poco; una buona storia, due o tre bravi attori (non necessariamente famosi) e un buon tocco...
La regista di questa bella pellicola ne è anche la protagonista ed allora, a Djamila Sahraoui, doppio applauso, anche a costo di essere l'unico in sala.
E' una "carezza in un pugno" la storia di questa donna e questo pezzetto di terra in qualche luogo sperduto di un'Algeria che tutt'attorno spara fuoco. Il volto della fiera e rabbiosa madre ha l'aspetto dell'arida terra che deve coltivare, ma entrambe terra e madre hanno l'atavica forza di portare avanti il ciclo. Nonostante le guerre e gli inverni, la siccità e i morti.
Il rancore però, nasce anch'esso come le piante di pomodoro, basta una minima ingiustizia che faccia da canna che la tenga su; figurarsi quando l'ingiustizia percepita è la morte di un figlio in uno scontro fratricida assurdo. Qui sta anche il fascino di questa storia, che non può dirsi favola per rispetto dei tanti morti più che reali, non è un elogio del perdono, ma semmai un ammonimento severo: "qui è dove conducono odio e violenza, là dove conduce il convivere, non già nell'amore, ma almeno nel rispetto".
Al di là dei possibili messaggi estraibili dall'ora e mezza della pellicola, ve ne consiglio la visione per apprezzarne la compattezza artistica, unità di luogo/tempo/azione classicamente rispettata che intrattiene, fa riflettere e addolcisce, una poesia che può essere recitata solo con metrica tutta araba, nonché rurale.
Complimenti ad attori ed autori e un augurio che la "Primavera Araba" si trascini appresso una nuova stagione cinematografica con fiori uguali a questo "Yema".
(depa)
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