Delicata fine del mondo: surreale?

Ecco il film, proveniente da Venezia '12, più particolare che abbia visto: "La quinta stagione" è una pellicola ambiziosa ma determinata, capace di rischiare a testa alta. Eppure, dopo pochi minuti dall'inizio, dalla mia sinistra ("perché alla mia sinistra non deve esserci nessuno"...!?) una voce minacciò: "Ecco, io uscirei già dalla sala" (ah ecco perché la fissa del posto più esterno...). Ammettiamolo, un po' di timori c'erano, e allora rendiamo a Cesare il suo: Peter Brosens (belga, classe 62) e Jessica Woodworth (americana, classe '71) hanno osato e ottenuto un buon risultato, un risultato diverso.
Il surrealismo ed il simbolismo esistono nel cinema da sempre, ok, ma queste correnti in particolare sono auto-rigeneranti; avendo a disposizione una dimensione in più, le possibilità raggiungono un infinito elevato a qualche cifra. I due registi lo sanno e, ammiccando con facili ed accattivanti scenografie, non si fanno problemi ad azzardare. Alcune sequenze sono stupende, di grande impatto visivo ed emotivo, altre sono ostiche, il cervello va su si giri. Bene così.
Nel cuore delle Ardenne (il paesino fuori dal tempo di Weillen), si può raccontare una favola che le accorpi tutte, per raccontare, senza lieto fine, quale sia la verissima natura dell'uomo. Amore con lo stomaco pieno, serenità quando c'è. Altrimenti è ognun per sé, al massimo uno e due contro il tre. Vecchia e cara xenofobia che tanto unisce, nasconde e divide.
Osservare i grandi "pupazzi" tradizionali che entrano in scena nell'ovattato paese, seguire i paesani salire lungo la piccola collina innevata, perdersi nel quadretto della roulotte di Pol filosofo-apicoltore, cogliere la nuova violenza attraverso una folle arrampicata che diventa inspiegabile lotta...sono tante tessere d'emozione che vanno a comporre un compatto mosaico cinematografico.
Vabbè, poi c'è il gallo...ma questa è la prova dal coefficiente più basso (ma gli sketch sono curati nei minimi dettagli; il quadretto col povero pennuto decapitato è un piacere per gli occhi). Lo scenografo dei Dardenne aiuta i due autori nel legare a terra il palloncino.
Qualcosina di troppo (voli di torvi uccelli neri, il ballo...) ma che, davvero, scompare allontanandosi dalla tela e cogliendo il fascino di questo ricercato cinema che offre spunti infiniti di riflessione, utilizzando la chiave di lettura che più vi aggrada. Malick, solitamente, ve ne da una, arrugginita, e vi indica anche in che verso girarla.

Terminano qui i film che ho visto quest'anno alla rassegna di Venezia 2012 (aspettando non per Pietà, Kim K.). Chiudo con una velleitaria e sterile classifica (ordine decrescente):
Migliori: "Low tie", "L'intervallo", "Yema", "La quinta stagione", "Wadjda", "Tango libre", "Inheritance".
Mediocri: "Starlet", "Thy Womb", "The iceman", "E' stato il figlio".
Peggiori: "Fill the void" e "The reluctant fundamentalist".

Un ringraziamento a Lamamma per l'occasione e per l'ottima (competente e stimolante!) compagnia; ormai le zone attorno alle sale milanesi non hanno più segreti.
(depa)

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