Il ciclo dedicato a
“Rock Hudson: cuore ribelle”, in onda sul canale RaiMovie, ci ha permesso di
incontrare per la 4° volta Douglas Sirk che, nel biografico “Inno di
battaglia”, del 1957, impasta materia bellica e amorosa, con coraggio di marines
indomito e sensibilità di pacifista innamorato.
Altra pellicola “Universal International”, con Roy Harold “Hudson” come
stella più luminosa. Già nei titoli risuona la fanfara degli eserciti santi, poi
si ringraziano quelli statunitensi. 1950. Guerra di Korea, col Sud invaso. La vera
storia di un pilota, il colonnello Dean Hess, predicatore di umiltà e pazienza,
e “la sua penosa lotta spirituale”, introdotta dal suo generale in persona.
Chiaro che a Sirk sembrasse una leccornia psicologica da gustare. Senso di
colpa. Hess, “The tiger” in stato confusionale da buon quarantenne
statunitense bianco e cristiano: da sempre la guerra ammazza donne e bambini
(“disgrazie” per l’ufficiale del film, “errore tecnico” per i soldati
israeliani di oggi). Purtroppo, agli orrori della guerra si accompagnano ancora
le retoriche deterministiche d’un dio che accetta le morti di donne, uomini,
bambini come fossero passerotti fulminati sui rami. Orfani su orfani. Certo,
“la guerra è un male”, ma il colonnello supererà in fretta gli scrupoli di chi ha
“ucciso oggi”. Dedicandosi alla costruzione dell’orfanotrofio che bombardò
(oggi a Ghaza: “PRIMA LI STERMINIAMO TUTTI, POI NE CURIAMO QUALCUNO” [al
Gaslini]). That’s war.
(depa)
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