Ieri l'altro, memore dell'ultimo godibile "Mulo", ho strappato Elena da qualcosa sulla Grande Guerra, per immergermi nel cinema americano del quasi novantenne (90), in odor di leggenda, Clint Eastwood. "Richard Jewell" è un ottimo film sui diversi e spesso fallaci piani di lettura; sugli stereotipi cui ormai le nostre menti sono infarcite e succubi. Negli States sono i migliori in questo (diciamoglielo, sempre: siete i più grandi, the best); nella terra dove la macchina dei sogni ha preso piede, dove le armi si vendono più che gli hamburger, dove Stato vuol dire, più che ovunque, Controllo silenzioso, Violenza occulta e Prevaricazione travestita, è ben visibile il meschino traguardo raggiunto dalle società capitalistiche.
Lo chiamano lavoro, ma è sfruttamento
Settimana scorsa, l'ultimo di Ken Loach, "Sorry we missed You": le alienanti condizioni di lavoro nei Trasporti e nella Logistica sono tema sempre più attuale. Ché la follia disumanizzante della merce ha prevalso e le associazioni dei lavoratori (sindacacati) le si sono inchinate. Attraverso un racconto realistico, con interpreti ben lontani dallo star system e personaggi recuperati dallo strato sociale mai dimenticato dall'autore inglese, un pugno agli aguzzini, una carezza ai prigionieri.
Affetti in affitto
Ieri è stata una domenica intensa, seppur senza campionato (...), conclusasi degnamente coi ragazzi di Pellicceria Occupata e impreziosita dalla presenza di Zippino. "We still hate You Thatcher" è la nuova rassegna autogestita che, dopo il "Riff" di Loach, ha proposto il crescendo asfittico e nevrotico che l'inglese Mike Leigh realizzò nel 1988: "Belle speranze" è un ottimo film, abilmente danzante sulla sottile linea tra realtà e grottesco, separazione destinata a sparire nella folle avvilente gold rush cui siamo tutti iscritti.
Art VS Capitalism
Freschi de "Il secondo principio di un artista chiamato Banksy", mostra presso il "Ducale" dedicata al misterioso graffitaro-e-non-solo di Bristol, sabato sera in Sala Valéry s'è optato per il suo documentario "Exit Through the Gift Shop", del 2010. Timorosi del solito esercizio egotistico di un artista, lemme lemme, Elena ed io ci siamo ritrovati a riflettere (ridere e incazzarci) su arte, società, economia e...cinema. Secondo voi, "consigliato" o no?
Non entrate in quella sala
Poca roba nelle sale, un russo del meridione ci spinge, Elena, Mino e me, sino in cima alle "Battistine". Attraversar lo spiazzo e balzar sui Cappuccini (anche per noi, oggi) è un de-fatto che presto tronca. Il russo in questione ha 28 anni e pare saperci fare coi colori. Glielo concediamo, c'è just l'ingresso da rifare, ma basta films ché di vita ce n'è una. "La ragazza d'autunno", di Kantemir Balagov (1991), è una logorante rappresentazione di due ore e dieci sulla terra bruciata, ormai gelata fumante, che ogni guerra lascia. Desolazione d'anime perse, sullo schermo e...in sala.
Il primo sogno di FF
Meraviglioso "Lo Sceicco Bianco". Intorno all'ipotetico centenario di Federico Fellini (20 gennaio 1920-1993), nelle sale fioccano alcune sue opere. Tra cui il suo primo sogno, realizzato nel 1952, ode alla prosaica fantasia, alla magia popolare, tra incantesimi spiccioli e risate a bizzēf.
Ettore parte in 9a
La settimana scorsa, Ettore Scola in Sala Valéry col suo film d'esordio. Presentatosi a mani vuote, ché tanto "Se permettete parliamo di donne" (1964) è sul tutubo, il regista di Trevico scomparso 3 anni fa (il 19 gen all'anniversario), ha scherzato e giocato. Un pezzo di panduce, un gotto e via, serata eroto-grottesca, per una commedia che tratta, invece, parecchio di uomini, anzi, uno e nono: il Gassman mata-todo, attorniato da altre variopinte, tutte stupende, donne e attrici della storia del cinema di quegli anni.
Rackhia Dance
Settimane di riproposte anni '80 ('980), in televisione. Tra le varie, in Sala Valéry il celeberrimo "Dirty dancing", del 1987, diretto dall'italo americano Emile Ardoino (1943-1993). La storia di Baby legnosa in vacanza estiva, alla scoperta dei corpi, del ballo, e un po' di sé. Sogno a occhi aperti delle bruttine, volteggiar con Patrik Swayze, rivaleggiare con un'indemoniata irrefrenabile bionda.
Idiodeus
E' falso! Il primo dell'anno, invero fu l'ultimo! Ammettiamo. Beata Teona Strugar Mitevska, allora, regista classe 1974 di Skopje, che ci ha permesso di dare l'addio al 2019 con una pellicola intelligente, divertente, giusta. Ambientata nella Macedonia al secolo dello sciovinismo più becero, "Dio è donna e si chiama Petrunya" assume la grinta d'una risata tesa a seppellire l'idiozia che ammorba ogni società patriarcale e teologica, pus fuoriuscente a tutte le latitudini. In tal senso il drammatico, che permane, è frantumato dalla sagace ironia delle autrici.
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