Soap Africa

Tremendo quando ho deciso di chiacchierare col povero Bernardo Bertolucci. Povero perché dipartito, non certo per quanto raccolto, prima e dopo il percorso, da critica e pubblico. "L'assedio", del 1998, acclamato come "gioiello", sul 'Rofum viene stroncato non meno del precedente buddista. Tanto lavoro alla regia, per un'opera finalmente grezza, ammorbata da un'atmosfera leggera di certo non voluta.

Peggio che tremenda, quindi, l'illusione ottica in cui si può cascare guardando l'incipit di questo film. L'impatto è tra i migliori che ricordi. Sullo schermo, piccolo, della Sala Valéry, un cinema che può folgorare. Le grida mute, i giochi d'ombra (fantasmi di mente e corpo). Una sorta di progetto registico, in veste scattante, avanguardista pur sui binari d'un canovaccio classico. Montaggio ruvido, sincopato. A rimescolare una calma che non può chetarsi.
Per poi ustionarsi con un ferro da stiro.
Purtroppo gli schietti silenzi, durante il film, rimarranno la sola cosa buona nei dialoghi che, altrimenti, rappresentano il lato più scadente, assieme a...tutto il resto. Il film deraglia come il protagonista, la regia non può che farneticare. E' come se il regista parmigiano e la sfera "etnica", custode di altre culture, proprio non riuscissero a sfiorarsi. Vuoi per la recitazione (la protagonista sedicenne londinese), per i suddetti dialoghi, grossolani (la dichiarazione d'amore) o per la sceneggiatura velleitaria. L'effetto, nella "Valéry", è stato di costante sconforto, reso meno opprimente solo dagli ottimi movimenti macchina, nonché da una fotografia che ben utilizza i colori sulla tavolozza. Ma questa è una regia gettata ai porci, altro che gioiello. Perché lo facesti, Bernardo?
(depa)

Nessun commento:

Posta un commento