Just do it, but...

Nel giorno più triste del regista Jonathan Demme (22/02/1944 - 26/04/2017), in sala Valéry, Elena ed io l'abbiamo voluto ricordare, appunto, tristemente. A parte la macabra ironia, non che "Qualcosa di travolgente", del 1986, sia un fallimento totale, ma nemmeno il miglior lavoro dell'autore statunitense, I suppose. A fine visione s'alza all'unisono il commento: "filmetto", e davvero fatico a trovarvi qualcosa di indimenticabile, tranne...un impercettibile monito.

C'è qualcosa di fastidioso in questa pellicola, dovuto non tanto all'irritante persona interpretata da Melanie Griffith (la cui complessità emergerà su lungo) e nemmeno a quella apparentemente grossolana dipinta attorno a Jeff Daniels. E' che c'è un certo scarto tra questa messa in scena e qualunque autoriale. E' che pare di assistere ad una commedia del sabato pomeriggio per ragazzi (ovviamente, escludendo il furibondo corpo della newyorkese, allora diciannovenne, vera bombetta a mano). L'atmosfera ha andamento convulso, che mi fa tremare ad ogni ipotesi: la classica storia d'amore (brividino), poi si vira verso una commedia amara (la sequenza al ballo degli ex-collegiali è apprezzabile solo per il coraggio con cui Demme vi ha insistito), dopodiché interviene Ray (Liotta) e la faccia oscura della storia, quella criminale, brutta (si fa per dire), sul serio, sale sul palco, ritrovandosi nel finale a chiudere bruscamente e ritornare sulla love story più convenzionale.
Non riesco ad essere così cattivo, in un giorno come questo. L'insopportabile Lulù iniziale, focosa e bizzarra, diviene classicamente più autentica, senza secondi fini, caduta la maschera sorridente dal pagliaccio si ripete malinconicamente "spassarsela finché si può". Il suo compare la segue ed emula come un cretino, noi con lui, e Demme non può che infilare una fulminea battuta che, oltre al carpe diem sussurrato ai colletti bianchi sfruttati, ricorda che, quando non si sa quale bianco abbia commesso un crimine, finisce dentro un nero. Va bene, possiamo rivolgerci all'uso degli spazi che Demme ha mostrato in questa pellicola, con alternanza di scenografie sovraffollate (shop) e terreni abbandonati (che poi è la stessa tra metropoli e deserti), percorsi da bande misteriose e costellati da musicanti di strada: c'è confusione in giro per gli States e una coppia di scatenati come i nostri sfigurano sino ad un certo punto, anzi, parrebbero gli unici sani. Benissimo, un po' pochino però.
Ma continueremo la chiacchierata con Jonathan Demme perché, per il cinema, la data di destra non conta.
(depa)

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