Toh, chi si rivede! Era ottobre 2014 quando in quel luogo magico di Porta Venezia, a Milano, mi imbattei nel terzo capitolo della "paradisiaca" trilogia dell'austriaco Ulrich Seidl. I ragazzi dell'"Altrove" la ripropongono nella sua interezza. Pertanto ieri sera, sradicati Elena e Zippino dalla comoda sala Valéry, ci siamo incamminati verso "Paradiso: Amore" (2012). Ancora una volta, la provocazione è forte, sino a spingere noi tre a chiederci: "ma che c'entriamo?".
Istigazione o polemica che sia, però, il discorso non è così semplice. Il taglio di Seidl è interessante. Realismo che sfiora il documentarismo, con attori e non professionisti raccattati qui e là, praticamente assente la colonna sonora, tanti minuti inermi dinanzi alla più lepega palude umana. L'amore, solo uno degli infiniti surrogati a portata di portafoglio, come prevaricazione; reazione violenta e inutile all'insoddisfazione di sé. Non solo, c'è anche l'occhio maschilista, che non accetta giochini a parti inverse (oltre al quello del turista davvero annoiato dagli assillanti mendicanti). Il quadro è avvilente. Ma poi lo è davvero? Non più di qualunque scenario cui assistiamo quotidianamente: pubblicità, pubblica amministrazione, pubblica informazione, arte, letteratura, cinema, col ribaltamento dei valori necessario. Così il sottotitolo di questa pellicola potrebbe essere "Ipocrisia". Forse sarebbe stato troppo (difficile da capire).
E quindi l'estetica? Le immagini in movimento motivate da una qualche ragione di perfezione (foss'anche esatta imperfezione)? Con magari un sorso di musica? No, niente. Abbiamo capito, Seidl. La tua scuola è un'altra. Quella del freddo e sporco specchio. Nessuna attenuante per tanta bruttura. Nessun orpello, via gli artifici, non distraiamoci (recentemente abbiamo seguito la ricerca di Tairo...). Quindi accettiamo, in silenzio. Ci stavi informando, punzecchiando, disgustando. Ma, allora, avresti potuto spendere anche meno (tempo e soldi). E noi con te.
(depa)
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