Venerdì scorso è stata la volta dell'ultimo lavoro di Xavier Dolan. All'"Ariston" a vedere "È solo la fine del mondo", con Marigrade ed Elena, ci sono pure io. Il giovane regista canadese ripresenta le sue tematiche, l'incomunicabilità su tutte, scegliendo in questo caso un testo teatrale che possa fisicamente rendere temperature, urti e attriti di un dramma in interni di ben poche speranze.
Speranze che, nei pressi di Buoni Propositi, sono sempre rintracciabili ma che implacabilmente vanno ad infrangersi contro il sé di ciascuno. Ora gonfio di nevrosi (a loro volta scaturite da), ora carico di ferite, ora irrigidito nei propri, presuntuosi quanto infruttuosi, sistemi logici. La tettonica dei caratteri può scatenare sismi profondi. Le composizioni tra individui dar luogo a formidabili, invero pericolosi, spettacoli pirotecnici. La vita in tutta la sua complessità, nascosta tra rughe, espressioni e silenzi.
Impostazione teatrale evidente sia nelle ambientazioni, con interni claustrofobicamente accentuati dagli insistenti primissimi piani; sia nella sceneggiatura, coi personaggi si alternano sul palco, mettendo a fuoco le relazioni (e le reazioni) particolari.
Dolan provocatore del trash, non teme punto i facili rimproveri che possono derivare da un rallenti intonato su filastrocche pop ormai stuprate. "E io vi metto proprio quella canzone!", pare sfidare. Mida capriccioso, ma di talento, prende il calzino puzzolente e lo ribalta, donandogli nuovo e insospettabile fascino. La scommessa è quasi sempre vinta.
Una certa virata rispetto alla sua cinematografia secondo me c'è stata, mancano corse liberatorie e vie di fuga; l'insistenza sui volti (meravigliosi come al solito) è rimasta, ma, forse complice il primo cast di rilievo, alcuni dialoghi si sono adagiati su di essi (la dolce Cotillard è quasi insopportabile). Interpreti che contribuiscono alla riuscita della pellicola: Vincent Cassel urla, sputa, occhi di sangue, come ai vecchi tempi (stroppia? Eppure ce ne sono...); Léa Seydoux spigliatissima e sincera; Nathalie Baye intensa e precisa; il bellissimo protagonista Gaspard Ulliel, attore modello che a Dolan avrà regalato più di un bollore, resta impassibile e concentrato, diventando il perfetto punto fermo di nessuno.
Pellicola intensa ed intelligente (il sottinteso nell'ultimo scoppio di Antoine/Cassel per allontanare il fratello odiato/amato), dove la sola spiacevole e, in effetti, piuttosto grave, sensazione è stata quella, da un punto di vista drammatico, di vedere il rappresentante sopravanzare di qualche metro il rappresentato (zoom sull'orologio e lontano crescendo dai bassi minacciosi...). Perché, alla fine della fiera, si tratta di una dolce e disunita non-famiglia. Ma il cinema di Dolan è così, eleganti eccessi da cui farsi travolgere.
(depa)
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