Nella seconda serata di quel 9 Giugno 2016 fu la volta de "I racconti del cuscino". Pellicola che Peter Greenaway realizzò nel 1996, ispirato dal romanzo giapponese "Note del guanciale" e risalente all'anno Mille (autrice Shōnagon). Appartenente al filone maggiormente sperimentale e creativo del regista gallese, parte bene, con il consueto caos armonioso del regista, poi l'intreccio si aggroviglia su se stesso, annoiando un po'. Rimane un cinema scalpitante come pochi.
Entro nella sala degli "Amici del Cinema" per un'altra eresia e vedo le classiche tre vecchie appollaiate. Ottimo. Sorrido, le sentirò borbottare, reagire ed uscire...
Siamo catapultati nell'atmosfera e la cultura orientali. Le lettere di alfabeti di laggiù si sovrappongono ai nomi degli attori, piccoli schermi nello schermo si avvicendano investendo lo spettatore con la loro mole di input audiovisivi. Ben presto la mente sporcacciona, visti i caratteri orientali, i pennelli e gli incensi, corre al classico dei "Classici Proibiti", "Il sesso e lo Zen" (sì lo so, in italiano fa rideret), e così sarà se si escludono le stoffe per volteggiare. L'oriente delicato è passionale, però, qui è tradotto nella lingua di Greenaway; quella spiritualità, in questo caso, passa da "occhi, labbra e sesso", punti ricettivi di tutto il cosmo.
La sperimentazione del regista ha qualcosa che mi ricorda Godard, anche se il critico Minnella (di professione, lui) accenna in sala che, le loro due sperimentazioni, sono diverse. (...) Il desiderio di frammentare lo spazio visivo, di trovare altri alfabeti e matematiche. Anche nell'allestimento, s'intravedono oggetti degni della più ardita e bohemiene Nouvelle Vague. Boh, mi fermo qui.
Calligraphic novel in cui l'ennesimo, ma autentico, mix centrifugo del regista trova ancora la sua quadra. I fuochi d'artificio digitali esplodono e ci s'accorge del disegno, in precedenza racchiuso con sapienza nel più piccolo petardo. Greenaway tratteggia i "piaceri della carne e della letteratura", a lui molto cari, carissimi!, con forza ed inventiva, non senza ironia!
Compare pure "Renton" McGregor (lui in persona, entrava e usciva dai due set), a dare ancora più senso ad una storia senza frontiere né veli, Cina e Giappone, Galles e Scozia, chissà che pacchia nel backstage.
Alla lunga, l'evitabile flessione di cui ho scritto sopra, a parer mio c'è; la corda non è sempre tesa e in un film così, dove si parte decollando per poi posarsi sulle pagine, seppur originali, del racconto, la stanchezza può farsi sentire (i "Greenaway" possono diventare prove fisiche!). Così come un po' sbrigativa pare la rassegna dei vari Book e il particolare nocciolo della vendetta. Ma non posso che consigliare di vedere questo film, semplicemente per vedere altro.
(depa)
Ah, per la cronaca: le tre vecchiette non sono uscite, anzi, si son dette "contente di averlo visto" (chissà i compagni, se vivi, che notte insperata!)
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