L'autore particolarissimo Jacques Tati continua a tornare nelle sale. Anche ieri è caduto l'occhio sul Sivori che proclamava, nella sua sala "FilmClub" per pochi, la presenza del regista di Le Peq. Sottobraccio, stavolta "Giorno di festa", del 1949, dove all'ipersensibilità cinematografica di Tati s'accompagna, in maniera ancor più affettuosa e sincera del solito, l'affresco di un piccolo paese di campagna.
Un certo Godard parlò di neo-realismo francese. Il Cinerofum ha provato le stesse sensazioni nel vedere l'ingresso in paese del baraccone da fiera, poi le preparazioni per la festa, con la piazza che, coi suoi bar e le altre attività, diventa la vetrina autorizzata, il canale ufficiale di tutta la simpatica comunità (conduce: la vecchietta che, attraverso la lente dei lustri, tutta sa). Gli ambienti rurali francesi, già di per sé, sono nell'immaginario comune una squisitezza della memoria, tra oche, tovaglie a quadri e monelli sempre in agguato. Tati rievoca tutto con delicatezza; rievocava già allora, nel Dopoguerra più lacerante, forse percependo i tempi ormai affannati, che non concederanno di passeggiare mani in tasca; anche in questa pellicola, sempre attento a sintetizzare e amplificare anche il racconto degli antichi suoni. In "Jour de fete" il risultato è particolarmente affascinante. Certo la parola esilarante non è la prima che mi venga in mente per questa delicata comicità, più dedita al ricordo accorato che al riso immediato (presenti le solite gag ormai pan secco per galline). D'altro canto qui s'apprezzano, più che in altri suoi film, le ellissi e i bandoli lasciati penzolare, proprio come, in un paese di campagna, non ci si chiede dove stia correndo il figlio dell'oste Gino...
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento