Basta scappare

Ieri sera, al circolino, secondo appuntamento con "L'Italia nel Cinema del Dopoguerra". In scena un'opera del torinese Mario Soldati (1906-1999), scrittore, giornalista e, appunto regista. "Fuga in Francia", del 1948, affresca un paese che tenta di fare i conti con se stesso.
Come racconta il consueto, simpatico e appassionato, curatore della rassegna, Giorgio De Giorgio, "i film di quegli anni, proprio a ridosso del secondo conflitto mondiale, hanno dalla loro una sincerità, una freschezza di cui i film contemporanei, ormai inevitabilmente distanti da quelle emozioni, mancano". D'accordo, questo uno dei principali motivi per percorrere quel nostro cinema che, ancor più del solito, diveniva prezioso documento storico da custodire. Dalla Romagna di De Santis della serata precedente, si passa al Piemonte, più precisamente alla Val Susa. Cambiano i dialetti, un po' i volti e le stazze, non le condizioni di vita e le possibilità di affrontarle. Chi rimane, chi se ne va. Di fronte a fame e oppressione i sentieri sono molti, tutti in salita. In direzione del valico, o dell'arrangiarsi. L'autore Mario Soldati, grazie ad esperienze vicine a queste, e alla gavetta cinematografica, ha la sensibilità per affrescare la complessità di quei frangenti, senza servirsi di pochi, facili e ed abusati colori. Aggiunge il curatore: "Soldati uscì abbastanza pulito, non compromesso dal Secondo Dopoguerra, non si fece coinvolgere e volle mantenere questo approccio anche in campo artistico, non volendo essere accostato al più impegnato neorealismo; ciò nonostante, in questa pellicola, i tratti che ricordano quel movimento sono molti, come l'utilizzo di attori non certo di grido: fa da eccezione solo il fiorentino Folco Lulli (1912-70), nel ruolo principale; Pietro Germi era quasi sconosciuto". Il protagonista, Riccardo Torre, è indifendibile, non soltanto per il proprio vergognoso passato, ma per tutta un'esistenza totalmente priva di valori. Lo sguardo su di lui, infatti, non è per nulla clemente; più interessante quindi, volgersi a coloro che lo circondano, tante diverse maniere di accostarvisi e reagire, dalla più blanda, alla più decisa, dalla più menefreghista, alla più cosciente. Quindi ecco una compagnia di sbandati che attraversano Bussoleno e Oulx per arrivare in un altro mondo pervaso da una parlata soave. Tra loro, nonostante la pratica vitale e quotidiana della menzogna, facce, dialetti e figure genuine (la bellezza di Rosina "Pierina" Mirafiore è una forma d'alpeggio di rara freschezza), ne emerge una dalla parlata particolarmente schietta, quella dell'attore Germi, caratterizzata da un quid lampante, che buca lo schermo. "E' un dovere, per noi, farti la pelle!", ecco una delle comprensibili reazioni, di fronte a chi ha ucciso impunemente per anni; lo sguardo è freddo, la gola brucia. Molti specchi in cui imbattersi; obbligano a confrontarsi con se stessi. Il protagonista, il fiorentino Folco Lulli, partigiano antifascista nella realtà, imprime una recitazione più solenne, più marcata, come a braccare un personaggio costretto dalla scelta di campo più fasulla, all'esistenza più bugiarda. Unica pecca, forse causata dall'adagiarsi sulla suggestione della verace messa in scena, la scontatezza dell'intreccio (soluzione guidata da un copione classico). D'altronde fu tutto prevedibile, dannazione!, ma niente evitato.
(depa)

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