Finalmente. Mi sono imbattutto nel regista più citato in quel volume Einuaidi, "Il cinema e le arti visive", che mi capitò tra le mani grazie ad Elena. Al solito, merito dell'"Oberdan" che, come un papà premuroso, mi segue nel percorso di crescita, esaudendo puntualmente ogni mia sete curiosa. Il gallese Peter Greenaway, classe 1942, con "Nightwatching", pellicola del 2007, riportò in vita l'olandese Rembrandt e ci immerge nella sua cerchia e, soprattutto, nei suoi colori, nelle sue luci, nelle sue forme e compisizioni...
Considerando lo spessore che, dal basso della mia epserienza, ho ravvisato in questa pellicola di raro valore visivo ed emotivo, la fama di autorevole esponente del cinema d'essai di Greeneway è più che legittima. Doveroso farne la conoscenza. Non so ancora se "La ronda di notte" (traduzione del titolo, tratto da quello del più celebre quadro del pittore olandese), sia il punto migliore del suo percorso artistico da cui partire. Ma di certo, v'invito a quest'esperienza visiva.
[Inciso] La grand production che sta dietro a questa pellicola mi ha fatto riflettere: allora, non si avventano solo sull'ultimo supereroe hollywoodiano, c'è anche una sofisticata banda di predoni assetata di cinema alto. Ottimo.
Torniamo al film. Nonostante sia nota la formazione di Greeneway in ambito pittorico e artistico, più in generale, sorprende per l'assimilazione delle caratteristiche e della concezione artistiche dell'artista raccontato, sia per la padronanza del mezzo cinematografico, sia per l'accuratezza dispiegata: già, dar vita ai quadri di Rembrandt e con questi risultati non è cosa da tutti, ma infondere a tutta la pellicola il respiro dei suoi quadri, della sua epoca, suggerendo quindi ipotesi sul suo sguardo soggettivo, è cosa da pochissimi.
Tableaux vivants, certamente. Quegli stessi che il pittore olandese, come molti suoi colleghi, allestirono (e allestiranno), prassi consolidata. Ma, in questa pellicola, si va oltre, l'impressione finale risulta più complessa (consolidata dal fatto che non vedremo mai Rembrandt col pennello in mano, almeno quello per dipingere), pare di essere vissuti in quell'epoca e a stretto contatto col modo di osservare e sentire del pittore (sogni e incubi). Esco dalla sala Merini scorgendo suoi volti della gente una luce particolare, filtrante tra i rami degli alti alberi di Porta venezia...e ho il petto grosso di fronte alla grandiosità del genio del pittore, di fronte alle ipocrisie e le meschinità, comuni a tutti le epoche, contro le quali dovette scontrarsi, riuscendone ferito nell'attimo ma vincitore nei secoli.
Non solo l'occhio è felice, quindi. Scenografie, luci, trucchi, costumi, tutti elementi perfetti, declinati in chiave pittorico-teatrale, permettono questa somma impresa, ma sceneggiatura e interpretazioni devono mantenere quelle altezze. Il britannico Martin Freeman, disinvolto e accorato, e gli altri attori ce la mettono tutta a soddisfare il direttore Greenaway anche nei momenti più estremi (originali sequenze di rottura, oniriche o sperimentali).
Dopo questo sincero sproloquio, dedico anche applausi a questo Greenanway, ora altri.
(depa)
La cosa più sconvolgente, però, è che questo stesso regista abbia potuto dirigere un film come "Il ventre dell'architetto"....
RispondiEliminaL'uomo è un animale eccezionalmente complesso e oscuro, il cinema lo segue e prosegue in proporzione esponenziale.