Cinema nella Repubblica di Weimar vuol dire anche "L'opera da 3 soldi" e, anche, Ernst Pabst; quindi, soprattutto, Bertolt Brecht. Nel 1931, tre anni dopo la celebre opera teatrale, Pabst realizzò questa elegante quanto agghiacciante trasposizione cinematografica, con scenografia cupa e caratteri diabolici, senza luogo e tempo, in cui la linea che separa guardie e predoni è così sottile da generare un caos che nessuno potrà arrestare. Allo "Spazio Oberdan", qualche settimana fa, in scena un frammento sontuoso e tragico della disfatta umana.
Il regista austriaco, originario della boemia, ha intriso questa pellicola della bruttura che attanaglia la stirpe umana, come fosse pece appiccicosa che tutto copre, muri, straccioni e isituzioni. Se il periodo storico di quel cinema non permetteva certo complesse sperimentazioni digeribili dal grande pubblico, di qui un'impostazione all'americana, con profondità di campo e personaggi gangsteriani ben caratterizzati, ciò nonostante è impossibile non riconoscere tutta la bellezza impressa su questa trasposizione che affascina lo sguardo e perquote lo spirito. Le musiche di Weiler, tra cui il celebre motivetto ("tarararaa Mackie Messee..tarara taraaaa", capito no?) spingono lo spettatore a correre il rischio di deporre lo scudo, trovandosi scoperto di fronte alla miseria, alla mechinità, alla corruzione che imperversano a prezzo vantaggiosissimo, per coloro che hanno azioni in borsa.
Se Brecht non apprezzò può essere dovuto ai linguaggi ben differenti utilizzati dai due artisti, ciò nonostante il senso, nell'opera di Pabst, non risulta edulcorato, il dito non rattrapito.
(depa)
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