Sulla scia del tributo all'attore Salvo Randone, lo "Spazio Oberdan" ha proposto un film di Elio Petri, del 1961: "L'assassino". Anzi, non uno qualunque, ma il suo primo; da questo particolare ecco l'ennesima conferma, a me stesso, che il il regista romano sia uno dei migliori del nostro cinema; capace, trentaduenne, di percorrere l'intimo umano, mediante il mezzo cinematgografico, con grande maturità, nonché dirigere agevolmente grandi attori come il già citato Randone e un convincente Marcello Mastroianni.
"Bah! Daiii!", questo film è da vedere. Bianco e nero di quelli che rimangono, non solo grazie al fascino del Marcello più glamour dello scorso secolo, cui il bianco e nero stava come a pochi altri, ma anche perché le immagini e le riflessioni che ci pone davanti sono un piacere tutto da gustare.
Il tragitto psicologico, rivelatore, di Alfredo Martelli (Mastroianni), punzecchiato dall'acuto commissario Palumbo (Randone), viene raccontato da Petri con fine ironia e realistica complessità. Roma meraviglia, con le sue scalinate vive, le macerie dimenticate e le ville desolate; può aiutare a nascondersi lontano da sé, come a guardarsi dentro. Questa pellicola è un avvincente giallo dalle pagine eleganti. Merito di un'affascinante sceneggiatura a spirale, verso l'interno, e delle interpretazioni dei due protagonisti, granitica, come dev'essere, quella del "commissario" Randone; porosa, tenace ma pronta a crollare (per poi ritrascinarsi ancora, senza pudore), quella dell'"acchiappa milionarie" Mastroianni. Belle donne, sempre più giovani, e solidità economica possono, più o meno inconsciamente, farci percorrere strade che ipotizzavamo bel lontane da noi. Non solo, a tutti può parere evidente che il nostro smarrimento è ormai assodato. Gioco di specchi e angoli oscuri, luci ed ombre che nel marasma mediatico si confondono e chi ci capisce più? Petri qualcosa ne sapeva e "L'assassino" ben rappresenta questa sua sottile consapevolezza.
Gourmet.
(depa)
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