E’ stato bello, ieri, in un
piovoso martedì sera, ritrovarsi nel caldo della sala Ninna in compagnia di un
vecchio amico: Charlie Chaplin, l’uomo che mi fece rassegnare definitivamente al
fatto che le emozioni che mi trasmette una pellicola non è in grado di
trasmettermele nessun’altra opera d’arte. E anche questo “La donna di Parigi” del 1923 è un sali e scendi d’emozioni. Si
ride e ci si commuove, i buoni sentimenti sono sempre ben in primo piano e,
attenzione: Chaplin c’è ma non si vede.
Uno degli unici due suoi film che
il maestro non interpretò e per questo i mugugni allora si sprecarono, ma
critici e pubblico evidentemente non si resero conto della bellezza e della
potenza di questa pellicola.
I sorrisi splendidi e maliziosi
della giovane Marie (una brava e affascinante Edna Purviance… peccato per la
fine precoce della sua carriera…) illudono Jean e danno il via alla più
classica delle love-story
cinematografiche, una di quelle, però, che riesce a far battere forte il cuore
anche ai più insensibili al genere. La trama è molto intrigante e coinvolgente
e mentre scappa anche qua e là qualche risatina, quasi ci si dimentica
dell’assenza di Charlot sullo schermo, mentre la presenza del regista,
sceneggiatore e musicista Charlie Chaplin si sente pesantemente. Messe in scena
come quelle delle feste lasciano a bocca aperta per la pienezza delle immagini e
la cura dei dettagli e per quanto queste sequenze siano incredibilmente
trascinanti. Anche le musiche, ovviamente anch’esse by Charlie Chaplin, sono fondamentali per aumentare il
coinvolgimento dello spettatore e sono atte spesso pure a rendere più forti i
momenti di pathos della pellicola.
Sì, cari ‘rofumanti, ci sono anche quelli in questa super-pellicola e conducono
ad un finale decisamente drammatico che rivela la definitiva e vera impronta
del film. Tuttavia si tratta pur sempre di un’opera di Chaplin e allora l’artista
britannico non poteva di certo far uscire tristi dalla sala i suoi fan... “Il tempo guarisce ogni male…” E
ci si scopre con un quieto sorriso di speranza sul volto.
Incantevole.
(Ste Bubu)
Grande Bubu! Concordo pienamente e ringrazio, ancora una volta, per lo spunto. Pellicola emozionante davvero. Per più ragioni, emotiva e tecnica, per esempio. L'inizio meraviglioso consente di assaporare tutta l'arte del grande genio londinese, la sua incredibile padronanza del mezzo cinematografico. Sintesi, eleganza, profondità. Basti osservare come viene presentata la figura del padre (le sue pause, i dettagli sul quadretto con la giovane figlia); oppure come venga incorniciato l'angolo dei due innamorati, tra tetti e finestre che danno su una fuga che mai s'avverrà; e che dire di quel treno per Parigi che illumina ad intermittenza, illusoriamente, il volto scuro della triste abbandonata?
RispondiEliminaC'è tutto, amore, caos, caso, dramma. Ma, per piacere, chiudete quelle dannate porte! Tanto ci pensa il destino ad eluderne alcune e ad intrufolarsi in altre.
C'è tecnica, come detto, è evidente, così nello stile registico come in quelle attoriale. Non c'è bisogno di essere esperti o wikidipendenti per cogliere la nuova ventata che questo film portò sul volto del muto. Tutti con una marcia in più rispetto ai tempi. Credetemi.
Anzi, credete a tutti e due.
ps: ma il "malinteso" della didascalia iniziale?