In sala Uander è tornato Pietro Germi, in veste di regista e protagonista. Io ed Elena, ieri sera, a guardare "Un maledetto imbroglio", film poliziesco del 1959, ispirato al romanzo "Quer pasticciaccio..." di Gadda, dal quale ha ereditato atmosfera (romanità, edulcorata solo nel linguaggio) e complessità dell'intreccio.
E posso capire che il regista che venne da Genova, leggendo il libro, trovò qualche difficoltà a capire chi fosse l'assassino. Sul divano di sala Uander, abbiamo trovato le stesse. In tutta sincerità, qualche connessione mi sfugge ancora. Detto ciò, che non è poco, ma non è nemmeno poco il mio rincoglionimento (si sa mai!), è sempre un piacere osservare il bianco e nero pulito, qui geometrico, qui barocco, del regista. Inoltre, a tratti pare sprizzare cinema nostrano, in altri prendere in prestito movenze hollywoodiane (zoomate).
In questa pellicola, poi, una sorpresa in più: Germi è perfetto anche nella parte dello sbirro. Sì, poliziotto alle prese con tutte le maschere del popolo, ognuna delle quali caratterizzate come un film di questo tipo (può rientrare, causa certi canoni, nel genere noir; pur sempre al pomodoro) richiede. Tranne, ovviamente, la donna del commissario, Paola, vera assenza che aleggia silenziosa al di là della cornetta. A questo proposito mi viene in mente la mediocrità mostrata dal recente "La variabile...".
Voglio troppo bene a Germi per non accennare, però, anche ad una certa compiacenza, artificiosità mostrata in qualche frangente. Come ignorare la stroppiatura esercitata nella sequenza finale, colla bella Cardinale, disperata tra fumo e polvere, a rincorrere l'auto che porta via il suo ragazzo? Peccato, perché un poliziotto sbruffone, seppur taroccato alla romanaccia, è un "made in USA" che dobbiamo accettare (e, soprattutto, dovettero); mentre, invece, osservare fastidiose intrusioni dal retrogusto di grossolana imitazione, patacca di un Prodotto Italiano, è roba dura da digerire. Soprattutto quando allo stomaco non arriva sangue: tutto fermo, lassù, a cercar il bandolo dell'intreccio.
No problem Germi, a te concedo tutto.
(depa)
In questa pellicola, poi, una sorpresa in più: Germi è perfetto anche nella parte dello sbirro. Sì, poliziotto alle prese con tutte le maschere del popolo, ognuna delle quali caratterizzate come un film di questo tipo (può rientrare, causa certi canoni, nel genere noir; pur sempre al pomodoro) richiede. Tranne, ovviamente, la donna del commissario, Paola, vera assenza che aleggia silenziosa al di là della cornetta. A questo proposito mi viene in mente la mediocrità mostrata dal recente "La variabile...".
Voglio troppo bene a Germi per non accennare, però, anche ad una certa compiacenza, artificiosità mostrata in qualche frangente. Come ignorare la stroppiatura esercitata nella sequenza finale, colla bella Cardinale, disperata tra fumo e polvere, a rincorrere l'auto che porta via il suo ragazzo? Peccato, perché un poliziotto sbruffone, seppur taroccato alla romanaccia, è un "made in USA" che dobbiamo accettare (e, soprattutto, dovettero); mentre, invece, osservare fastidiose intrusioni dal retrogusto di grossolana imitazione, patacca di un Prodotto Italiano, è roba dura da digerire. Soprattutto quando allo stomaco non arriva sangue: tutto fermo, lassù, a cercar il bandolo dell'intreccio.
No problem Germi, a te concedo tutto.
(depa)
Che bello scoprire che anche un polizziesco puo appassionarmi! Un genere che mi ha sempre fatto schifo, ieri sera, in Sala Porty Hostel, mi ha tenuto incollato allo schermo per tutta la sua durata. Dipinti alla perfezione tutti i personaggi, grande il regista nei panni del commissario, e decisamente appassionante la trama... Grazie cinema, grazie Germi, grazie 'rofum
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