La settimana scorsa, la sala Uander è ritornata ad accogliere un autore cui s'è molto affezionata; Sir Charles Chaplin, dal canto suo, ha deciso di presentarsi nel suo abito migliore, no, non quello nuovo, ovviamente: quello logorato e strappato da fatica e malinconia, ma rattoppato a meraviglia con dolcezza e ironia. "Il circo", del 1928, non può mancare nella filmografia dell'appassionato dell'eterno Charlot.
Questa emozionante pellicola dedicata a quel "mondo di segatura, lacrime e risa", serve all'autore, come al solito, come rampa di lancio per la descrizioni di fatti e sensazioni che dal tendone colorato e rumoroso possono andare a coprire le stanze e le strade in cui ambientiamo le nostre vite. Per dare un colpetto ai faretti, una dritta ai fasci di luce, affinché non siano sempre diretti sulla scena; lo sguardo sul backstage esistenziale è la grande forza di questa affascinante e triste opera.
Nel circo ci sono sequenze che, per quanto riprese da altri lavori del passato, hanno dentro linfa vitale, non sembrano mummie chapliniane riesumate. Vedere per ridere: la scena degli specchi; quella in cui Charlot fa il manichino meccanico per non essere scoperto; quando mangia il dolce dalle mani del bambino; la scena del leone (il vagabondo si tappa le orecchie quando il cagnolino, che di per sé è esilarante, abbaia indemoniato!); quella in cui le scimmiette gli smangiano la faccia mentre fa l'equilibrista...
Altra interessante percezione nascosta tra i fotogrammi è quella di uno scossone che l'autore avrebbe voluto dare ad una certa comicità, quella circense più tradizionale, fatta di gag anchilosate e ancora esibite per inerzia. Chaplin dà una carezza al sapor di carota (se la ride di brutto guardando i clown esibirsi) e assesta una sonora bastonata quando insinua che, dopo tutto, gli schemi già assodati non siano per forza necessari e che l'ironia richieda un lavoro di continua coltivazione e ricerca.
Ma con Charlie Chaplin, ormai lo sappiamo, la sensazione provata in sala è quella di una gioia infinita che non può che camminare a braccetto con una malinconia che tutto avvolge, quasi a ricordare che per essere in grado di godere appieno di un attimo di somma felicità non si possa dimenticare la sofferenza che verrà. E ce la mette tutta per raccontarci La Vita che ha in testa: trovate divertenti e scelte stilistiche a tutto tondo perché, dopo tutto, era lui che poneva a terra la m.d.p. (la corsa dei due fuggitivi, in direzione della telecamera)...così tanta vita, con così tanti ricordi, che lo stesso autore non resse e decise di allontanarasi da questa pellicola, per poi, una cinquantina d'anni dopo, ritornare col cuore in mano, a cantare la dolce serenata che introduce al film.
Diffidate da cofanetti e raccolte, tipo "Tutto Charlot" e simili, perché, ne "Il circo", come in ogni film dell'autore, c'è già ogni Charlie Chaplin, grande & unico.
Intendo dire, guardiamoli tutti...
(depa)
Dopo aver ammirato i film più belli e più noti (lungometraggi e mediometraggi) di Charlie Chaplin ed essermi fatto una cultura sulla sua vita leggendo la sua autobiografia (devo ancora finirla, ma rigà, sono quasi 700 pagine di roba!), posso dire che secondo me questa è la sua opera più riuscita e più completa per quel che riguarda il primo, e da qualcuno (non da me) riconosciuto come "unico vero" Charlie Chaplin, ovvero quello che lavorava ai tempi del cinema muto. Sicuramente qualcuno penserà che mi sto dimenticando di un certo "Il monello", ma penso che si tratti solo di questione di gusti. "Il monello" è un capolavoro, ma a me è piaciuto di più "Il circo": ho trovato le pantomime più esileranti e il finale molto meno scontato e più "poetico"/romantico, e comunque "de gustibus...". :)
RispondiEliminaUn "bella" al compagno di 'rofum Depa per la splendida recensione. Impeccabile! ;)