Scriverò di un film che ho visto in sala Uander la settimana scorsa; mentre Elena si rilassava nel suo Modigliani, io venivo aizzato dal maestro russo Sergej Michajlovič Ejzenštejn: "Aleksandr Nevskij" è un film manifesto politico del 1938, che attinge a piene mani nella tradizione nazionalistica russa del passato e nella propaganda antinazista dell'epoca.
Ma il film non è solo un potente megafono nella mano di Stalin ma anche un elegante documento storico. Perché, se è innegabile che le frasi roboantemente socialiste tappezzano la pellicola come le vignette propagandistiche una città sotto attacco, nondimeno le immagini girate dal regista russo rendono al cinema un grande tributo artistico.
Le sequenze della battaglia sono realisticamente convulse e rapide, con qualche accento di troppo qua e là, ma di grande impatto visivo. Quelle del lago cinematograficamente avvincenti ed affascinanti, per quanto altisonanti.
Il celebre eroe popolare russo, disturbato proprio mentre se ne stava con la sua canna (da pesca) in mano, chiarisce subito ai Mongoli che con lui non attacca, "Meglio la morte che battersi per la patria degli altri", o, al massimo, di attendere nel parcheggio, ché poi verrà il loro turno. L'internazionalismo è tabù ("El Che" Guevara ha solo 10 anni, Garibaldi verrebbe fucilato nella piazza rossa appena varcata la frontiera), il tempo stringe, quindi c'è bisogno di un combattente tutto istinto e non troppa strategia, con in bocca gocce di nazionalismo sfrenato. Anche se l'intuizione del vantaggio che le armature russe, più leggere di quelle teutoni, avrebbero guadagnato sul lago ghiacciato, si rivelerà fondamentale, il grande Aleksandr è più attento a fomentare la sicurezza di sé e l'impeto altrui verso il nemico ("Chi non sa battersi in campo nemico, non sa battersi nemmeno in patria!" non è un assioma militare).
Nevskij scuote gli animi con le braccia sui fianchi, "Non difendo proprio nulla, io so solo attaccare!" chiamando a rapporto tutti, ché "i soldati non bastano, ci vogliono i contadini!", e tutti con l'arma, "ché senza non si ammazza neanche un pidocchio". Ecco, diciamo che il film viaggia su questi toni, anche se a volte pare che ad Ejzenštejn scappi un sorriso al pensiero che tutto 'sto casino sia successo solo per palpeggiare la bella Olga. E' possibile, quindi gustarsi il film, subendo il nazionalismo russo che sbava rabbiosamente sul film ("E' corta, ma l'ho fatta io! Non è del nemico!") senza sottilizzare troppo, godendosi le caotiche sequenze degli scontri che ben rendono la sensazione di urto scudo-arma, ferro-corpo (insomma, si pestano come tamburi), ipotizzando una qualche ironia nel ridicolizzare il nemico (lo "scornamento" dei cavalieri nemici, la fuga strillante delle truppe teutoni), cogliendo quella palese disseminata qua e là ("la maglia...troppo corta", in punto di morte).
Esperienza bella e pericolosa: pare proprio di vederlo Stalin, col lecca-lecca, che suggerisce al maestro: "Dai dai! Facciamo che Olga li sorregge entrambi! Sì, sì!" e Sergej che, sguardo al cielo, concede: "Uuuh, davvero geniale, bravo...non ci avevo pensato...".
(depa)
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