Appena tornato dalla sala Alda Merini dello Spazio Oberdan, dove ho visto "Kaos" dei Fratelli Taviani, la grande emozione è ancora dentro. Questo film del 1984 è, per me, un piccolo gioiellino incastonato in una filmografia che devo ancora scoprire (quella dei due fratelli), e in un'altra che ritengo sia meglio che si tenga stretta questa pellicola (quella italiana, che proprio dalla quegli anni decise di intraprendere la strada dell'autocombustione).
Il film è liberamente tratto (dicitura ormai classica delle opere dei registi toscani) dai racconti di "Novelle per un anno", del sommo autore Luigi Pirandello. Ma, fedele o no al testo, il film plasma una poetica propria, mostrandoci una Sicilia meravigliosa come in realtà è. Credo che anche un siciliano possa restare sgomento di fronte ad un affresco di tale delicatezza. Sul serio, Pirandello e Sicilia potrebbero qualunque cosa, ma la regia dei Taviani, in questa pellicola, rasenta la perfezione.
Il film è suddiviso in prologo, tre racconti ed epilogo (un quarto racconto, che domina la locandina, è presente solo nella versione televisiva o francese). Tutti frammenti indimenticabili (all'ultimo posto, personalmente, "La giara", con Franco e Ciccio, ma si parla di millesimi di secondo).
Il film inizia e la bocca si spalanca su immagini aeree di una Sicilia da sogno, complice l'elegante incipit di un corvo con campanello al collo che ci condurrà attraverso gli altri racconti.
Ancora, per tutto il primo racconto ("L'altro figlio"), il mio preferito, la bocca non si chiude. E' tutto stupendo: le parole dettate dalla madre dagli occhi più dolci (l'ispanica-marocchina Margarita Lozano, da lacrime), i siciliani in cammino sulla strada di pietra chiara, i loro sguardi, le loro battute ingenue, la loro vivacità prima del triste addio (il ballo americano da brividi), la sassaiola sul corvo del malaugurio, la gioa della madre nello scoprire la truffa e il suo racconto purché venga scritta la lettera ai figli, "Casibaldo" sul cavallo bianco che unirà l'Italia, la partita a "bocce" con le sue inquadrature preziose (l'accovacciato che si sposta seguendo le sfere), e quella zucca che rotola verso l'ennesimo rifiuto. Solo sprazzi, perché queste sono le sembianze di un sogno, sempre la solita perfetta Sicilia sullo sfondo.
Il secondo racconto ("Mal di Luna") riesce nell'arduo compito di mantenere alta l'emozione. Sicilia sempre a rapporto, muretti di pietra, campi che paiono giardini, sentieri che portano all'orizzonte...e, visto che è un film, i Taviani non sbagliano un movimento macchina e ci raccontano una favoletta che ora blocca il respiro per poesia, ora per tensione (quando la mano del di Claudio "Batà" Bigagli afferra la venere pura emozione-eros-poesia-siciliana Enrica Maria "Sidora" Modugno, voglio vedere che resta fermo); cuore in fermento quando Sidora pulisce il pavimento danzando, sensuale e terrena, coi i suoi piedi che recitano un film a parte; il Sole mattutino e quello pomeridiano nella piazza del paese, passando da quel mezzogiorno che tutto illumina-oscura (pure la seggiola è incantevole!); il bambino stregato dalla Luna, un oscar a lui, chiunque sia.
Il terzo racconto è sostenuto, oltre che dalla "Sicilia prende tutto", da due bravi Franco e Ciccio, con il culmine della danza notturna attorno alla giara.
Nell'epilogo, Omero "Pirandello" Antonutti (il "padre-padrone" di Gavino) riesce a non rovinare il tutto, con un'interpretazione che, rischiando molto, tutto, non perde una goccia sulla tela, permettendo allo spettatore di gustarsi, di buon umore, una delle sequenze più emozionanti che ricordi: i ragazzi che si lanciano giù dalle pendici di pietra pomice, estasi cinematografica (sempre, ancora, fortemente "made in trinacria").
Complimenti ai Taviani che, quindi, sanno come non cadere in "tornatorate" che istigano alla rissa, se non al suicidio; tra tutte le loro che ho visto, sarà quell'Isola che sa di cuore del mondo, sarà quell'autore che sapeva il cuore del mondo, questa è l'opera che mi ha colpito di più.
(depa)
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