Ieri sera, al Cinerofum del Circolo Familiare di Unità Proletaria, sulla sponda nord della Martesana, proprio accanto allo Zelig, io ed Elena abbiamo avuto la possibilità di passare un'ottima serata di cinema. In programma l'ultima delle cinque serate dedicate a Marilyn Monroe, con la proiezione de "Gli spostati" di John Huston, del 1960. Film dolceamaro, pervaso di energia cupa, sulla decadenza di un mondo (il Far West e i suoi cowboys) e di due stelle del cinema (Monroe e Gable, qui nelle loro ultimi interpretazioni, scompariranno a breve), nonostante un primo tempo dominato dal "sorriso che ricorda il sorgere del Sole"...
Il primo e unico film scritto dall'ennesimo marito della Marilyn, Arthur Miller, non sembra iniziare con toni tragici, anzi. Per la protagonista, "Roslyn" Monroe, pare stia iniziando una vita nuova, anche se i ricordi delle molte assenze del passato sono sempre alla porta (Marilyn più che coinvolta...). La bella ragazza, dagli occhi che, a sprazzi, brillano più della Stella Polare, si lascia andare alla compagnia di questa nuova, allegra e scanzonata masnada di cowboys mezzo improvvisati. La pacifica campagna pare in grado di restituirle qualcosa di ciò che le caotiche città le hanno sottratto. Ma in realtà la lotta è tutta interna, i "semafori verdi" e gli "scooter" non c'entrano nulla. E, quando ci si mette di mezzo anche l'alcool, tutto si annebbia, i movimenti si fanno più pesanti; anche il film ne risente. La gente parla e straparla, "Gay" Gable inizia farsi burbero e a rotolare, frasi banalotte che stonano un po' con le esplosive immagini di una Monroe che fa rimbalzare una pallina per una quarantina di volte, mandando in visibilio il bar del rodeo (per non parlare di Gable e Huston che indugiano sulle sue "dietrologie"...).
E allora, John Huston, che pare accorgersi del vuoto presente nel testo del "teatrale" Arthur Miller e che, abilmente, fa sì che la "biondona nazionale" finisca un po' da parte, nell'infinito deserto del Nevada, che già si stava propagando, divorando valori ed esistenze, Arthur Miller, dicevo, realizza delle sequenze equestri indimenticabili: i mustang surclassano l'uomo per eleganza ed energia prorompente vitale, loro sì, per nulla disposti a cedere.
Primo tempo molto piacevole, secondo un po' imbolsito. Clark Gable più segnato che mai nel fisico, non nello stile; morirà appena terminate le riprese, diventando eterno nella Settima. Bravissimo anche perché non lascia trapelare l'incazzatura per quella bonazza un po' fulminata e perennemente in ritardo; ci lascia con un'interpretazione da cappello sul petto, durante la quale l'uomo non lotta per passionale amore ma per infantile orgoglio; Marilyn Monroe, spinta dal marito in mezzo al palcoscenico, è pronta a fare outing in maniera sincera e autocritica (le sue foto pin-up nell'armadietto), ed emerge un malessere destinato a sfociare in un'overdose di barbiturici, di successo, di servizi segreti.
Film simbolicamente e biograficamente importante, non tra i migliori di Huston, causa smarrimento alcolico nella seconda parte (voluto?).
(depa)
Dimenticavo: in bicicletta verso il circolo, venti minuti di pedalata tra piste ciclabili di 9 metri, binari del tram e bauscia incalliti e frettolosi...ma all'arrivo il clima è più che mai cordiale e rilassato; forse soltanto con un po' di anni sul groppo ci si accorge di ciò che vale davvero. Il film è proiettato in una tipica sala da bar da pro-loco, con ottima qualità delle immagini (un po' meno quella audio, ma non importa); anche l'introduzione al film e la somma finale sul ciclo di quattro incontri dedicati a Marilyn, esposte da Chiara Mattucci, sono accurate ed interessanti. Un ringraziamento sincero a chi il cinema lo immagina, lo vive e lo condivide così.
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