Ieri pomeriggio, non essendo nemmeno riuscito ad aprire la porta di casa e fare un passo nel corridoio, ormai conquistato da creature gialloblù, sono stato "costretto" a recuperare un film di cui qualcuno (fischiettìo...) mi parlò bene. Quindi, con due pagnotte prese nel forno lì vicino, sono entrato nell'affascinante sala di via Palestrina per vedere "Almanya - La mia famiglia va in Germania". Se non fosse che è sempre buona cosa dare una mano a cinema monosala e a produzioni indipendenti (sì, è elemosina, lo so), sarei ancora più incazzato per lo spreco di quest'ora e quaranta riempita di nulla o, peggio, di buoni sterili sentimenti. Film del 2011, diretto da Yasemin Şamdereli, tedesca classe 1973, Zaza di origine (minoranza etnica dell'Anatolia).
Giuro che mi sono seduto con spirito ottimista, convinto della bontà del consiglio ricevuto e delle produzioni indipendenti. Poi i titoli di testa mi hanno ringalluzzito ancora, inizia il film e ci credo sempre più! Dai, dai! Non originalissimo il tema, ma si sa, se uno rifà un buon piatto anche 100 volte, non c'è problema, mi autoinviterò con piacere! Toh, non solo il solito racconto d'immigrazione ma anche una variante niente male, il racconto dell'esodo degli anni '60, durante un attuale viaggio inverso: quel pizzico di zafferano che amalgamerà il tutto!
Poi i minuti passano e mi accorgo che il solito piattino è stato ulteriormente impiastricciato da tutto ciò che si trovava nella dispensa: "Io amo lui e la famiglia non vorrà" in scatola, "sono depresso perché divorziato e nessuno mi vuol bene" sott'aceto e, acer in fundo, "Noi siamo acqua, tutto torna, dammi un bacio" glassato.
Davvero, ce l'ho messa tutta, ma il film le sbaglia altrettante. Complice, di certo, lo scadente doppiaggio italiano, mi è parso una recita eseguita (non in una parrocchia, quello ancora deve succedere) in un'associazione tipo "Terra Madre" o "Casa Mia", scritta, diretta e interpretata dagli amici del quartiere (mi viene "Belville" ma sarebbe un'offesa a quei validi romanzi). Quindi vedremo un'accozzaglia di temi che sfilaccerà ovunque e, cosa peggiore, lascerà pendenti più temi; sì, ho avuto proprio l'impressione della debolezza della sceneggiatura, frutto, suppongo di un'allegra chiacchierata tra amiche in uno "starbacs" di Dortmund: ogni idea emersa, ributtata nella bacinella, poi si vedrà...eppure il soggetto c'era.
Scene oltre il limite del gusto, che mi ricordano il nostro Tornatore più melenso (scene finali con frasi uscite da Gibran, non per altro eh, ma mi rileggo il Profeta), con gli attori che interpretano i protagonisti ai giorni d'oggi al fianco di quelli che interpretano quelli ai tempi che furono (già, per una trovata tale, dovreste chiudere il browser e correre a stuprare una vecchia); ma resistete e, se proprio vorrete vedere voi stessi "con occhio", vi accorgerete che non è il tono esageratamente sdolcinato a irritarmi...e questo perché, quando la sigla di "C'è posta per te" potrebbe anche partire, ciò non accade! Sono sbagliati i tempi delle sequenze: se hai un conato, la regista si accanirà, se la pellicola si fa carezza, vedrai, faccino all'ingiù, che lo stacco lo renderà schiaffo!
Non c'è alcun bisogno di film come questi per capire i valori che tutte le etnìe del pianeta si portano appresso ogni volta che sono obbligate a "traslocare" (tra l'altro, il tema della sepoltura in patria, c'è anche questo, è stato raccontato in maniera più delicata e ironica dal recente "Il responsabile delle risorse umane", non certo un capolavoro), anzi, gli stereotipi dannosi, nemmeno così nascosti, gli sterili quadretti da "volemose bene", spesso, annichiliscono invece di creare, crescere, un dialogo che, guardando questo film, riaffiderei di corsa alla strada, sempre somma maestra.
Tòpoi cinematografici a nastro: il nonno che ha un malore, "No no, sto bene" e muore dopo 70 metri; "Mamma vorrei parlarti" e la mamma se ne va estasiata da un gatto, tutto grigio!; "Sai, anche mia moglie vuole divorziare", pacca sulla spalla e dormita nello stesso letto; e tanto altro ancora...ahahah, in questi casi sì: davvero comico questo film dell'underground tedesco (c'è pure un tributo finale alla Merkel! Puahahah muoio).
Unica scena apprezzabile da un punto di vista artistico, per il sottoscritto (...), è quella in cui la bionda conduce nel campo di granturco il bambino, allontanadolo dal dramma familiare (non si volta, solo la spalla e la magliettina tra lei e il bambino e il pubblico e il dolore). Tutto qui; magari troverete questi 10 secondi su Youtube.
Qualcuno ha scritto che, come film per scuole, questo "Almanya" può andare, sono d'accordissimo. Però non conosco il genere cinematografico "per scuole"...
(depa)
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