Extra: "Miracolo" solo per l'Italia

Pomeriggio grigio freddo milanese, per scaldarsi niente di meglio che un piccolo cinema nascosto, di quelli old-style, "parrocchiali", sala minuscola e cassiere assonnato tra confezioni di caramelle...che bello il Centrale di via Torino! In programmazione, con tenacia, sempre film di buon livello. Ieri, emozionato come un bambino che sta per scartare il regalo agognato, circumnavigando parte dell'arco sinistro del Tempio di San Sebastiano, sono andato a vedere l'ultimo di Aki Kaurismäki, "Miracolo a Le Havre", facendo, come sempre, il pieno d'ottimo cinema e di sincero e giusto cuore.
Titoli di testa gialli semplici, Sputnik, Outinen, ahhh, mi sento a casa. Il film inizia e la prima scena già permetterebbe di uscire soddisfatti, con la quantità di cinema minima consigliata, che solitamente viene assunta nell'arco di qualche settimana, già in circolo. Stupenda sequenza, summa dello stile Kaurismäki: due persone vestite normalmente immobili, stacco, inquadratura su calzature in movimento, stacco, di nuovo le stesse due persone con campo leggermente più ampio, tanto da consentire la visuale sui loro strumenti di lavoro, ai loro piedi...
La naturalezza con cui il regista finlandese gira semplicissime scene di puro cinema non stupisce più (altra sequenza, all'arrivo del protagonista a Calais: campanile di una chiesa, la m.d.p. scende sulla sinistra, piazzetta, spazzino al lavoro, sedie accatastate, il protagonista addormentato su una sedia, saracinesca che sale, svegliandolo bruscamente...straordinaria), ma le bocche continuano ad aprirsi, la pelle ad arricciarsi. I soliti meravigliosi, dolci, umani, personaggi kaurismäkiani (i negozianti, l'ispettore, Little Bob!...perfetti); Le Havre (titolo originale del film che solo uno stupido italiano può cambiare in quella maniera) è più bella che mai, tra muri di sgargianti container (già presenti anch'essi nella filmografia dell'autore finnico), moli e case popolari, i suoi baretti habitat naturale della gente dei quartieri in cui i miracoli non avvengono, "dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi"; è tutto armonioso, tutto s'incastra a meraviglia, che si tratti degli occhi di un bambino, di un ananas, di un cane...
Film che commuove coi sentimenti ripresi e messi sullo schermo, senza "ismi" (ellissi delicate, e intelligenti, quelle sul terribile viaggio del bambino e dei suoi compagni, quelle sulle sofferenze della moglie del protagonista); per due volte scendono, isolate, sfuggite in un lampo, due lacrime (una per occhio; la prima quando il protagonista si reca per la prima volta all'ospedale, la seconda quando vi si reca il bambino) che è una gioia poter piangere.
La musica (non poteva mancare) a ribadire che qualcosa di buono c'è: il classico tema di altri film di Kaurismäki, l'organizzazione di un concerto per risolvere un problema, più persone unite da una sana intenzione e dall'amore per la musica possono qualsiasi cosa. Se ci si pensa...è vero. Quindi Kaurismäki, dopo i mitici "Leningrad Cowboys" ci presenta un'altra leggenda, questa volta tutta francese (propria della città dell'Alta Normandia), Libero "Little Bob", personaggio rocker incredibile, figlio di un anarchico italiano fuggito al regime fascista, che può vantare tour con "Clash", "Sex Pistols" e altri (su Wiki.it non è nemmeno presente...), interprete perfetto dell'indomabile diginità popolare che può sorgere dalla (e con la) musica.
Sulle scelte degli ultimissimi attimi ho avuto qualche dubbio, ma si tratta pur sempre di una favola (dai tratti tragicamente realistici) e, d'altronde, se fosse finita nell'"altra maniera", sarebbe stato un film hollywoodiano o, ahimé, italianissimo, non un indimenticabile Kaurismäki.
La solita fotografia da museo, la consueta delicatezza registica, l'asciutta etica, firme riconoscibili dell'autore (solo i dialoghi sono un po' più "per tutti", meno "perle rare", rispetto a quel film eccezionale che è "L'uomo senza passato"); quest'antica favola moderna (perché odora di pagina ingiallita, di polveroso libro di racconti, la sequenza della fuga del bambino dal container, da applausi) dev'essere vista "assolutamente sì", "*****", "10/10", "pollice in su"...

Oggi il cinema è del Nord Europa (e del Sud Est Asiatico).
(depa)

1 commento:

  1. Seconda volta al cinema, perle:
    - la scena del panino lasciato sulla scaletta, col solo rumore dell'acqua a raccontarne il risultato.
    - la scena del commissario nel bar: "Marcel Marx, ci tieni molto?", "Oh, sì, molto."; scambio stupendo che manda a ramengo tutte le inutili parole pronunciate negli anni.
    - la scena "Idrissa e il giradischi", con cui Kaurismäki c'insegna come un'immagine fissa in cui suona una musica, in realtà NON è ferma, il movimento si sposta dallo spazio all'orecchio, da una dimensione all'altra, dimenticata e immensa.

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