Qualche sera fa, sala Uander, io ed Elena: i soliti tre graditi ingredienti. La ricetta questa volta ha previsto anche un bellissimo film del regista polacco Krzysztof Kieślowski che, nel 1993, diede il via a quella trilogia che lo rese celebre e con la quale il regista classe 1941 si congedò dal mondo dei vivi, oltre che da quello nostro cinematografico amato. Il primo film dei tre film ("Film blu", "Film bianco" e "Film rosso", richiamo alla bandiera francese) ha il colore della Liberté, di quel cielo che nulla ostacola, di quell'acqua, ottimo conduttore, che può anche isolarci, se la musica viene da dentro.
Il film è molto ambizioso, ma è uno dei casi rari in cui il regista osa e riesce, ha in mente una sensazione ed è in grado, senza perdere sfumature nel tragitto, di renderla al pubblico. Il film può dare l'impressione di girare a vuoto perché Juliette Binoche è lì sullo schermo, attonita e bellissima, piena di dolore e fascino, per tutta la durata della pellicola sul crinale tra rabbia improvvisa e sconosciuta, e bontà caratteriale assodata. Come una persona reagisce al Dolore non è predicibile e se il correre verso un sesso frettoloso è ormai un tòpos cinematografico, è comunque una possibilità; Kieslowski ci racconta quale inaspettata e indesiderata libertà possa portare la scomparsa dei nostri più vicini.
Per farlo ci vuole una mano di fata ed il regista di Varsavia ce l'ha; stupenda scena inziale: la bambina con le luci che le volteggiano sul cruscotto posteriore (mi ha ricordato quel fantastico dialogo tra il bandito delle 11 e la sua bella), le immagini accelerate nei tunnel, e poi l'elegante sequenza dell'incidente, con una delle ellissi più delicate che io, nel mio piccolo, ricordi. Le immagini che lo spettatore si porterà a lungo dentro sono molte (la Binoche che si raggomitola in piscina, da lei improvvisata, tra l'altro), ma non voglio elencarle tutte perché in questa pellicola più che mai conta il tutto, il complesso, l'armonia sinfonica che pervade la pellicola; ecco, impossibile trovare lento un film in cui i picchi emozionali vengono prima di quelli musicali.
Di corsa con gli altri due colori dell'"intimità".
(depa)
Controcuriosità: nella suggestiva scena della mano della protagonista strisciata contro il muro di pietra, non fu la Binoche a volerlo (?! sarebbe una deficiente), bensì fu obbligata dal fatto che le protezioni non furono pronte e, per limitare i costi di permanenza in loco della troupe, si decise di girarla senza (come racconta lei stessa nell'extra contenuto in un edizione DVD).
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